‘Ndrangheta, la Valle “esplode” nel dossier della Direzione Investigativa Antimafia

Oltre alle menzioni legate all'operazione Geenna dei Carabinieri su una “locale” in Valle, il documento dà conto di 28 segnalazioni di persone per “reati spia” e del controllo di 80 movimenti finanziari.
Uomini della Dia (foto d'archivio).
Cronaca

Trentatré menzioni in 688 pagine e sezione dedicata, disgiunta dal Piemonte, cui era di solito abbinata. La Valle d’Aosta “esplode” nella relazione al Parlamento sull’attività svolta e i risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia nel primo semestre del 2019. Lo fa perché proprio all’inizio dell’anno scorso – si legge nel documento – “è stata giudiziariamente scoperta l’esistenza di un nuovo locale di ‘ndrangheta” operante nella regione, “riconducibile alle cosche di San Luca”, in particolare a quella dei Nirta-Scalzone.

Gemme di ‘ndrangheta

E’ il frutto dell’operazione “Geenna”, condotta dai Carabinieri del Reparto Operativo e del Ros, che ha fornito un’ulteriore conferma, secondo la struttura diretta dal generale Giuseppe Governale, della “capacità delle cosche” di “espandere i propri interessi e di infiltrarsi oltre i confini regionali”. Un riscontro coerente con la fisionomia, restituita dalla relazione, di una “‘ndrangheta tendenzialmente silente, ma più che mai viva nella sua vocazione affaristico imprenditoriale” e “saldamente leader nei grandi traffici di droga”, ambito in cui “sta acquisendo sempre maggior forza e ‘prestigio’ a livello internazionale”.

La cellula del crimine organizzato ritenuta dagli investigatori essere esistita in Valle si aggiunge alle 42 censite nel Nord Italia dalle indagini degli ultimi anni, di cui 25 in Lombardia, 13 in Piemonte e 4 in Liguria. Una distribuzione emblematica dell’abilità delle ‘ndrine “di riprodursi secondo lo schema tipico delle strutture calabresi”. Per la Dia, nelle regioni del centro-nord si sono concentrate le principali attività criminali “di secondo livello”, cioè “quelle che puntano ad una silente contaminazione del tessuto socio-economico” e consentono “sia di riciclare i capitali derivanti” dal “core business” criminale, sia “di ampliare le prospettive dell’impresa mafiosa”.

Geenna, la “svolta importante”

Così, se da tempo la Direzione sosteneva che “insediamenti ‘ndranghetisti” fossero attivi in Valle (viste le “pregresse risultanze investigative”, nelle quali era stata segnalata la presenza di “soggetti contigui a talune potenti consorterie calabresi, quali gli Iamonte, i Facchineri o i Nirta, e l’operazione “Minotauro” del 2011, che “aveva fatto emergere segnali relativi ad una presenza nella regione”), nel primo semestre dell’anno scorso è giunta una “svolta importante rispetto al pericoloso livello di infiltrazione raggiunto dalla criminalità calabrese nella regione”.

Con i suoi sedici arresti del 23 gennaio 2019, scaturiti da investigazioni iniziate cinque anni prima, l’operazione Geenna (ora allo stato processuale, con diciannove imputati in procedimenti tra Torino ed Aosta) ha evidenziato – secondo la Dia – non solo l’esistenza della “locale”, ma anche “ il traffico internazionale di stupefacenti tra la Spagna e l’Italia” e “ la partecipazione al sodalizio anche di concorrenti esterni, suddivisi tra amministratori pubblici, in carica all’epoca dei fatti, e professionisti”. Quest’ultimo filone d’inchiesta restituisce “tentativi di scambio elettorale politico-mafioso nel corso delle elezioni amministrative del 2015”, a dimostrazione “della capacità di infiltrazione delle amministrazioni pubbliche, anche al di fuori dei contesti territoriali calabresi”.

Basta con il negazionismo!

Venendo ad un tema d’attualità in Valle, vale a dire le ragioni dell’assenza di “anticorpi” al fenomeno mafioso, la relazione non usa mezzi termini, indicando quale unico cammino possibile che “le Istituzioni, a qualunque livello, ma anche la comunità intera devono avere ben chiara la portata del fenomeno, spogliandosi del negazionismo fin qui sostenuto ed acquisendo consapevolezza della presenza delle ‘ndrine ormai ovunque”. Parole cui vengono affiancate quelle pronunciate dal procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo, all’indomani del “blitz”.

“…S’era detto che in Valle d’Aosta non vi fosse la ‘ndrangheta, – aveva affermato il magistrato – esponenti della politica non avevano fatto mancare di far sentire la loro voce sdegnata per respingere quella possibilità. Quando, evidenze -anche antiche- dicevano il contrario. Ora, forse, questi motivetti finiranno di essere suonati…”. “Quel che mi preoccupa – continuava il ragionamento – è la persistente sottovalutazione del fenomeno che si coglie nell’opinione pubblica, nel sentire delle comunità che pure vivono, fianco a fianco, muro a muro, con i mafiosi. E mi riferisco a situazioni già definite con sentenze passate in giudicato”.

Un “dato positivo e negativo al tempo stesso”. Se “ancora ci si sorprende”, vuol dire che non vi è “stata un’occupazione importante del tessuto sociale, imprenditoriale, politico del territorio”. D’altro canto, però, la stessa reazione dice “della capacità di infiltrarsi in maniera subdola ma non avvertita in maniera chiara”. “A queste caratteristiche ed a questi atteggiamenti si accompagna la sottovalutazione” – era stato l’allarme di Saluzzo – come si trattasse “di fenomeno e comportamenti che non riguardano tutti ma solo i singoli che vengono a patti con i mafiosi”. Un atteggiamento che “ha aiutato ed aiuta le organizzazioni mafiose”, per cui “non basta la risposta giudiziaria… occorre una presa di coscienza ed un atteggiamento di ripulsa e di rigetto delle persone, delle comunità e delle Istituzioni…”.

Le altre operazioni menzionate

La relazione della Dia dà anche conto dell’operazione “MalAosta”, su droga, estorsioni ed armi, condotta dal Gruppo Aosta della Guardia di finanza nel giugno 2019, che ha riguardato il quartiere Cogne del capoluogo, “considerato il centro della rete criminale, ove gli arrestati, di origine campana, effettuavano una sorta di controllo del territorio” (ed è recente una serie di patteggiamenti). In Valle non si registrano poi “presenze strutturate di criminalità straniera”, anche se il settore degli stupefacenti “resta d’interesse di cittadini stranieri, in collaborazione con elementi locali”.

Come per il Piemonte, quindi, anche la nostra regione “costituisce canale di transito per gli immigrati clandestini che tentano di oltrepassare il confine con la Francia”. Al riguardo, vengono citati gli arresti della Polizia del 17 gennaio (quattro persone che trasportavano 38 migranti non in regola) e del 9 febbraio 2019 (un iracheno alla guida di un furgone con a bordo 12 connazionali irregolari). Dal dossier emerge infine che, nei primi sei mesi dello scorso anno, sono state numerose le persone segnalate per “reati sintomatici di criminalità organizzata”, vale a dire omicidio doloso (1), danneggiamento seguito da incendio (5), estorsione (10), associazione di tipo mafioso (9), scambiio elettorale politico-mafioso (2) e riciclaggio (1).

Gli approfondimenti finanziari

Se nello stesso periodo la Dia non ha eseguito accessi di controllo a cantieri e non si registra l’emissione di interdittive antimafia, 80 operazioni finanziarie sono state approfondite dalla Direzione, nell’ottica di prevenire il riciclaggio: 39 di queste sono state originate da segnalazioni attinenti alla criminalità organizzata e 41 da “alert” su reati spia (quelli ritenuti maggiormente indicativi di dinamiche riconducibili alla supposta presenza di aggregati di matrice mafiosa, tra i quali rientrano, tra l’altro, l’impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, l’usura, l’estorsione, o il danneggiamento seguito da incendio). Insomma, un mosaico che riporta alla mente quell’accresciuta “sensibilità degli inquirenti” di cui avevano parlato i vertici del Gruppo Aosta dei Carabinieri, rispondendo alla domanda sul fattore chiave alla base dell’operazione Geenna.

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