Con il pronunciamento della Corte di Cassazione, giunto con la sentenza depositata all’inizio di gennaio, si cristallizza la responsabilità per l’incidente sul lavoro verificatosi il 4 settembre 2020 ad Allein. Nella vasca di una centrale idroelettrica, perse la vita il 46enne Luigi Claudio Campi di Ceriano Laghetto (nella provincia di Monza Brianza).
Assolto in primo grado, il 55enne Alberto Sale (consigliere di amministrazione con delega in materia di sicurezza e salute dei lavoratori della “Api SpA” di Rozzano, di cui era dipendente la vittima), era stato invece condannato dalla Corte d’Appello di Torino lo scorso 11 aprile a 6 mesi di reclusione per omicidio colposo (pena sospesa). Rigettando il ricorso dell’imputato, la Suprema Corte ha ora reso definitiva quella pena.
Il tema che ha preso quota nel giudizio riguardava la natura dell’attività demandata al lavoratore deceduto (cioè la sostituzione delle guarnizioni di tenuta del pistone nella vasca centrale), perché da essa derivava (o meno) l’obbligo per il datore di lavoro di redigere un piano operativo di sicurezza, che la Procura di Aosta riteneva non assolto. Per la Cassazione, i giudici del processo di secondo grado hanno descritto le “caratteristiche dell’ambiente di lavoro e la lavorazione demandata” a Ciampi, “dando atto che essa aveva avuto a oggetto un macchinario industriale facente parte del circuito di una centrale idroelettrica”.
Partendo da questo dato, nella lettura della Cassazione, la Corte d’Appello ha giustificato “congruamente” il “rigetto delle osservazioni difensive intese ad accreditare la tesi che si sarebbe trattato di un intervento manutentivo su una singola macchina, con conseguente insussistenza dell’obbligo di redigere” il piano operativo di sicurezza e “applicazione della normativa di cui alla direttiva macchine del 1996, che avrebbe reso operativi altri obblighi e messo in rilievo diversi addebiti colposi non contestati”.
In base agli “elementi fattuali disponibili”, sottolinea la Suprema Corte, i magistrati torinesi hanno “ritenuto che, da un lato, l’asservimento stabile della parte mobile al macchinario integrante li circuito dell’acqua della centrale idroelettrica rendeva indispensabile li coinvolgimento delle parti fisse (nella specie, li traliccio e la pulsantiera)”.
Dall’altro – si legge ancora in sentenza – i magistrati d’appello hanno considerato che “la natura stessa dell’intervento manutentivo, inteso proprio a consentire il regolare deflusso dell’acqua in quel complesso (e, quindi, il funzionamento stesso della centrale) lo rendeva onnicomprensivo di tutte le operazioni inerenti alle opere fisse o strutturali, compresi gli elementi mobili, peraltro, più soggetti a guasti e, dunque, a interventi manutentivi”.
Oltre a quello relativo agli obblighi per il datore di lavoro derivanti dalla tipologia dell’intervento (tema su cui il pm Francesco Pizzato aveva centrato il ricorso in appello, all’indomani dell’assoluzione in primo grado), la Corte di Cassazione ha dichiarato infondati gli altri tre motivi di ricorso sollevati dalla difesa di Sale (gli avvocati Maurizio Ennio Santelli e Francesco Maria Poggi). Il ricorso dell’imputato è stato così rigettato e a suo carico sono state poste anche le spese di giudizio.
L’incidente alla centrale di Allein era “prevedibile dal datore di lavoro”
8 giugno 2024 – Ore 9.49
Se per il giudice di primo grado l’operazione in cui il 46enne Luigi Claudio Campi (di Ceriano Laghetto, nella provincia di Monza Brianza) perse la vita il 4 settembre 2020 ad Allein, nella vasca di una centrale idroelettrica, rientrava tra quelle che non prevedono la redazione di un piano operativo di sicurezza, portando così all’assoluzione del suo datore di lavoro (nel settembre 2022), la terza sezione penale della Corte d’appello di Torino raggiunge conclusioni opposte.
E’ uno dei motivi per cui il processo di secondo grado – terminato lo scorso 11 aprile con la condanna a sei mesi di reclusione per omicidio colposo (pena sospesa) del 54enne Alberto Sale (consigliere di amministrazione con delega in materia di sicurezza e salute dei lavoratori della “Api SpA” di Rozzano, di cui era dipendente la vittima) – si è chiuso rovesciando la decisione del Tribunale di Aosta.
L’obbligo del piano operativo
La Corte parte infatti dal presupposto – come si legge nelle motivazioni alla sentenza, depositate di recente – che “l’attività demandata al lavoratore infortunato (la sostituzione delle guarnizioni di tenuta del pistone nella vasca della centrale, ndr.) costituisse un ‘lavoro edile o di ingegneria civile’ e che, dunque, il luogo nel quale questo doveva essere svolto debba essere qualificato come ‘cantiere temporaneo o mobile’”, con conseguente sussistenza in capo all’impresa esecutrice API SpA, degli obblighi” di cui alle norme in vigore, “fra i quali la redazione del Piano Operativo di Sicurezza”.
Affermato l’obbligo, “nessun dubbio può nutrirsi – scrive la Corte – in ordine alla sua violazione, posto che risulta pacifico, né in alcun modo contestato dalla difesa, che non sia stato predisposto alcun POS per l’intervento del settembre del 2020”. E’ uno degli aspetti sulla base dei quali il pm Francesco Pizzato, titolare del fascicolo aperto dopo l’incidente mortale, aveva chiesto una condanna già in primo grado (a 6 mesi e 10 giorni di reclusione) e su cui ha imperniato l’atto d’impugnazione della sentenza aostana.
Non valutati i rischi specifici
Non solo, perché indipendentemente dalla necessità di redigere il documento, il collegio d’appello – si legge ancora – “condivide il rilievo del pubblico ministero, per cui il giudizio ha visto emergere la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, del profilo di colpa ascrivibile all’imputato, consistente nell’omessa valutazione dei rischi specifici inerenti all’attività di manutenzione dello sgrigliatore e dell’omessa predisposizione delle procedure e misure idonee a contrastare i fattori di rischio sussistenti”.
La necessità di due lavoratori
La Corte accoglie anche i rilievi della Procura del capoluogo regionale riguardanti “la mancata previsione della necessaria partecipazione di due soggetti qualificati all’attività di manutenzione della quale era stato incaricato” il lavoratore deceduto. In proposito, i giudici richiamano le dichiarazioni di due testimoni, che “hanno evidenziato come, data la delicatezza dell’operazione, fosse necessario che un soggetto qualificato adoperasse la pulsantiera che controllava i movimenti del rastrello, al fine di coadiuvare le operazioni del soggetto fisicamente presente presso la componente mobile dello sgrigliatore”.
La condotta imprudente non scagiona l’imputato
Nel processo, i legali dell’imputato avevano messo l’accento sul fatto che, dopo aver lavorato utilizzando gli strumenti di sicurezza, il lavoratore era tornato nella vasca posizionando un pezzo di legno sul quale era appoggiata la parte mobile della macchina. Il supporto non aveva però resistito e lo sgrigliatore era precipitato, colpendo l’uomo ad una gamba e facendolo precipitare sul fondo dell’impianto lungo il torrente Artanavaz. Nella lettura difensiva della vicenda, una condotta colposa di entità tale da esentare il datore di lavoro da responsabilità.
Una tesi cui la Corte non aderisce, perché il lavoratore deceduto, “al momento del sinistro, stava svolgendo ed anzi ultimando, pur se in modo imprudente, l’attività specifica per la quale era stato inviato presso la centrale di Allein, con la conseguenza che le operazioni che lo vedevano coinvolto debbono ritenersi interamente ricomprese nella sfera di previsione e contenimento del rischio attribuita dalla legge al datore di lavoro”.
Il rischio specifico di caduta dall’alto
Peraltro, “Il tragico evento occorso risultava certamente prevedibile da parte dell’imputato, il quale, all’esito della scrupolosa valutazione di tutte le attività svolte dai propri dipendenti imposta al datore di lavoro, ben avrebbe potuto e dovuto essere consapevole del rischio specifico di caduta dall’alto, vieppiù in presenza di una componente mobile di notevole peso, connesso all’attività di manutenzione di uno sgrigliatore presso la vasca vuota in una centrale idroelettrica”.
Inoltre, scrivono i giudici d’appello, “laddove Campi fosse stato reso consapevole delle corrette procedure di messa in sicurezza del rastrello e di contrasto al rischio di caduta dall’alto, ovvero fosse stato accompagnato da un soggetto in grado di segnalare a quest’ultimo l’inadeguatezza delle misure adottate (apposizione di un pezzo di legno) e di coadiuvarlo nello svolgimento in sicurezza delle operazioni rimanenti, l’evento sarebbe stato certamente evitato”.
Lavoratore morto ad Allein, condannato in appello il datore di lavoro
12 aprile 2024
Ribaltando l’esito del processo di primo grado, la Corte d’Appello di Torino ha condannato a sei mesi di carcere (pena sospesa) il 54enne Alberto Sale, imputato di omicidio colposo, quale consigliere di amministrazione con delega in materia di sicurezza e salute dei lavoratori della “Api SpA” di Rozzano. Si tratta della ditta di cui era dipendente il lavoratore morto nell’incidente del 4 settembre 2020 ad Allein. L’udienza di secondo grado si è chiusa ieri, giovedì 11 aprile.
L’operaio deceduto, Luigi Claudio Campi, 46 anni di Ceriano Laghetto (Monza Brianza), era impegnato nella sostituzione delle guarnizioni di tenuta del pistone, nella vasca di una centrale idroelettrica, nel comune della valle del Gran San Bernardo. Per l’accusa (in primo grado il pm Francesco Pizzato aveva chiesto una condanna a 6 mesi e 10 giorni di reclusione), la morte del lavoratore aveva rappresentato la “specifica concretizzazione di un rischio non valutato dal datore di lavoro”, perché “non era stato redatto un piano di sicurezza completo”.
Secondo i difensori dell’imputato, il tipo di lavorazione previsto per quel giorno, cioè l’intervento su un macchinario, non prevedeva la redazione del piano operativo. Inoltre, i legali avevano messo l’accento sul fatto che, dopo aver lavorato utilizzando gli strumenti di sicurezza, il lavoratore era tornato nella vasca posizionando un pezzo di legno sul quale era appoggiata la parte mobile della macchina. Il supporto non aveva però resistito e lo sgrigliatore era precipitato, colpendo l’uomo ad una gamba e facendolo precipitare sul fondo dell’impianto lungo il torrente Artanavaz.
Una tesi che aveva convinto il giudice monocratico Marco Tornatore (il processo si era chiuso nel settembre 2022 al Tribunale di Aosta), pronunciatosi per l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”. Di giudizio opposto, invece, il processo di secondo grado, chiusosi con la condanna dell’imputato
Operaio morto ad Allein, assoluzione per il datore di lavoro
30 settembre 2022
Dopo diverse udienze, in cui sono stati sentiti testimoni e consulenti incaricati degli accertamenti disposti dalla Procura, si è chiuso al Tribunale di Aosta il processo sulla morte di un operaio, il 4 settembre 2020 nella vasca di un a centrale idroelettrica ad Allein. L’imputato, il 53enne Alberto Sale, consigliere d’amministrazione con delega in materia di sicurezza e salute dei lavoratori della “Api SpA” di Rozzano (Milano), di cui il lavoratore deceduto era dipendente – è stato assolto “perché il fatto non sussiste” dall’accusa di omicidio colposo.
Il giudice monocratico, Marco Tornatore, ha letto la sentenza attorno alle 14 di oggi, venerdì 30 settembre. La richiesta dell’accusa, rappresentata in aula dal pm Francesco Pizzato, era stata di una condanna a 6 mesi e 10 giorni di reclusione. Secondo la tesi inquirente, la morte del lavoratore aveva rappresentato la “specifica concretizzazione di un rischio non valutato dal datore di lavoro”, perché “non era stato redatto un piano di sicurezza completo”.
Stando alle indagini, nel documento predisposto “non erano state indicate procedure di montaggio e smontaggio” dello sgrigliatore di cui la vittima, il 46enne Luigi Claudio Campi di Ceriano Laghetto (Monza Brianza), era impegnata a sostituire le guarnizioni di tenuta del pistone, ma “solo procedure generiche”. Per l’accusa, il lavoratore “non ha ricevuto alcuna indicazione su come lavorare in sicurezza”.
La difesa dell’imputato, assistito dagli avvocati Francesco Poggi e Maurizio Santelli, del foro di Milano, ha puntato – nell’arringa culminata nella richiesta di assoluzione dell’amministratore – a spiegare che la tipologia di lavorazione prevista per quel giorno, cioè l’intervento su un macchinario, è soggetta ad una disciplina che non prevedeva la redazione del piano operativo. Detto questo, i due avvocati si sono soffermati sulla modalità con cui l’operaio aveva proceduto.
Dopo aver lavorato utilizzando gli strumenti di sicurezza, il lavoratore – ha ricostruito il team legale – era tornato nella vasca posizionando un pezzo di legno sul quale era appoggiata la parte mobile della macchina. Tale supporto non aveva però retto e lo sgrigliatore era precipitato, colpendo l’uomo ad una gamba e facendolo precipitare sul fondo dell’impianto lungo il torrente Artanavaz. “Aveva tutte le attrezzature specifiche, anche perché le aveva usate 10 minuti prima, sul camioncino c’era tutto”, ha osservato il difensore. Le motivazioni del verdetto sono attese entro 60 giorni.