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‘ndrangheta, i legali di Prettico: “La Procura di Torino non ha il polso” della Valle

Secondo i difensori Rebecchi e Cocco, il procedimento penale in cui è imputato il consigliere comunale sospeso vive sulla ricostruzione dei Carabinieri, ma “nessuno ha mai sentito dire di avere la percezione di una “locale” ad Aosta.
Cronaca

“La Procura di Torino non ha il polso, o meglio ce l’ha sulla base” di quanto ricostruito “dai Carabinieri di Aosta”. E’ uno degli argomenti sviscerati nell’arringa tenuta oggi, venerdì 11 settembre, dall’avvocato Nilo Rebecchi, che con la collega Barbara Cocco difende Nicola Prettico, il consigliere comunale di Aosta sospeso, in carcere dal 23 gennaio 2019 perché accusato dalla Dda di Torino di associazione di stampo mafioso nel processo “Geenna”, in corso al Tribunale del capoluogo con rito ordinario.

“In realtà – ha aggiunto il legale – nessuno ha mai sentito dire di avere la percezione di una locale di ‘ndrangheta ad Aosta, in particolare per quanto riguarda” il ristoratore Antonio Raso, principale accusato del procedimento aostano. Rebecchi ha respinto l’ipotesi accusatoria per cui “molti uomini con incarichi istituzionali andavano a parlare con” il titolare de “La Rotonda” perché “sapevano che c’era la ‘ndrangheta”. Più semplicemente, tutti sapevano che il ristorante è “un importante punto” di riferimento “della comunità calabrese, tutto qui”.

Alla base di tutto, agli occhi dell’avvocato, c’era “questo senso di presunzione, di orgoglio del fatto ‘io sono calabrese, voglio” vedere “delle persone calabresi all’interno dell’Union Valdôtaine, del Consiglio comunale, del Consiglio regionale’”, una “questione di prestigio”. Nell’insieme “c’è stata un’esagerazione” degli inquirenti “per cercare di tenere in piedi alcuni aspetti”. Al riguardo, il difensore ha citato il caso del “falegname”, definito al sud “anche mastro” e che, nelle carte dell’inchiesta, diventa un “mastro di giornata”, dote ‘ndranghetista.

Per Rebecchi, dalle indagini, “non è stato accertato niente”. In particolare, il legale ha contestato l’intercettazione sul “taglio della coda” (il rito di affiliazione alla ‘ndrangheta) di Alessandro Giachino (altro imputato del processo), definendo “un colpo di teatro” la teoria introdotta dal pm Stefano Castellani nella sua requisitoria, sullo “scarrellamento di un’arma” che emergerebbe nella registrazione. Inoltre, ha osservato l’avvocato, quel file audio restituisce “altri rumori di fondo, si sentono analoghi scarrellamenti”.

Elementi, ha detto Rebecchi, che mettono in evidenza “il pericolo di fare questi processi basandosi solo sulle intercettazioni”. Oltretutto, ha aggiunto, “come si fa a dire che Prettico (per il quale l’accusa ha chiesto 12 anni di carcere, ndr.) entra nella massoneria per incrementare l’influenza sul territorio valdostano”, quando si è affiliato ad una loggia di Gibuti (peraltro dopo la scelta di associarsi di un conoscente e non di uno degli altri presunti membri della “locale” aostana)?. L’udienza proseguirà nel pomeriggio con le arringhe dei difensori di Monica Carcea e Alessandro Giachino.

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