Il “Canto del cigno” del sindaco di Aosta? Forse. Nuti traccia un bilancio dei suoi cinque anni

Con un mandato – forse? – agli sgoccioli, c’è stato tempo di fare qualche domanda e qualche considerazione vis-à-vis con il sindaco di Aosta uscente Gianni Nuti. Su questi cinque anni, sì, ma non solamente. Anche su una piazza Deffeyes che guarda, da sempre, alle finestre di piazza Chanoux.
Il Sindaco di Aosta Gianni Nuti - Foto Twitter Comune di Aosta
Politica

L’ufficio è il solito, quello che affaccia su piazza Chanoux. La poltrona è quella “scomoda” di Sindaco di Aosta. Le finestre, come accade ormai da tempo, oltre a guardare direttamente il “salotto buono” della città hanno gli occhi puntati di piazza Deffeyes.

I destini dei due palazzi, ancora una volta, si incrociano. E nel modo di sempre: i movimenti dettano la linea, in centro città si aspettano gli umori della politica. Dieci anni (e mezzo) fa sull’altare degli equilibri politici era stato sacrificato il primo cittadino Bruno Giordano. Cinque anni (e mezzo) fa, era toccato al suo successore, Fulvio Centoz, per le stesse logiche.

Oggi, il “no” ad un secondo mandato da sindaco tocca anche Gianni Nuti. Anche se, giochi che sembrano già fatti – conventio ad excludendum, naturalmente – potrebbero ancora cambiare. Anche perché Union Valdôtaine e Autonomisti di Centro (coalizione di Pour l’Autonomie, Rassemblement Valdôtain e Stella Alpina) vorrebbero cambiare, sì, ma un nome per la fusciacca della città forse non ce l’hanno. E forse, un Partito democratico di rientro nella partita potrebbe (e vorrebbe) un Nuti bis.

Fatto che sta che la storia si ripete. E oggi le parole dello stesso Giordano, in quel lontano 2015, al suo ultimo atto da Sindaco in Consiglio comunale risuonano come una sentenza: “Il problema è capire se oltre al changement c’è anche cohérence, parce que le changement sans cohérence risque d’être un ‘change rien’, ou, pour meux dire, un ‘change seulement une personne”.

E la personne in questione è lo stesso Nuti. E con un mandato – forse – agli sgoccioli, c’è stato tempo di fare qualche domanda e qualche considerazione vis-à-vis. Su questi cinque anni, sì, ma non solamente.

Sindaco, la prima domanda è ovvia quanto inevitabile: che bilancio traccia di questi suoi cinque anni da Primo cittadino?

Comunque vadano le cose, cinque anni sono finiti e, un po’ come nella scuola, serve un momento di valutazione sommativa. Si certifica il corpus dei risultati di un percorso, ed è momento di bilancio. E secondo me è un bilancio sicuramente positivo rispetto alle opere di media e lunga durata. Questa amministrazione ha guardato lontano, sin da subito, in un momento buio della storia e quando la macchina amministrativa era inceppata. Abbiamo cercato di sciogliere da subito i nodi che la inceppavano, endogeni ed esogeni, in un momento in cui si firmavano ordinanze su ordinanza per il Covid e si invocava lo smart working come via obbligata. Abbiamo intercettato tutte le linee di finanziamento possibili, abbiamo risposto coraggiosamente a bandi che andavano anche un po’ oltre la tenuta dell’apparato in cui ci trovavamo. Abbiamo dato un ‘colpo di acceleratore’ a tutta una serie di opere poi effettivamente finanziate. E non c’è angolo di città che non sia interessato da lavori o che non lo sia stato.

Pensiamo al Doravidi, la trasformazione dell’ex Centro giovani di via Volontari del Sangue chiuso da vent’anni in un centro di accoglienza per le persone con disabilità, o ad un quartiere Cogne completamente rivoluzionato da un intervento epocale che ha spazzato via orrori e scelte miopi di fatti in anni in cui non c’era la cultura urbanistica di oggi, come in place Soldats de la Neige o per i grattacieli. Non avevamo neanche un progetto preliminare. In tre anni e mezzo l’abbiamo impostato, con la fine entro il giugno 2026.

Oppure pensiamo alla Bocciofila. Abbiamo riaperto il Caffè Nazionale, il Café du Théâtre, il teatro Giacosa sotto ad un portico rifatto completamente. Tutti con formule differenziate e dove si trova impresa, solidarietà e un mix di risorse e visioni del mondo che si integrano nel cuore della città. Abbiamo terminato i lavori piazza Giovanni XXIII, non gli alberi che avremmo voluto, perché è stato impedito da Sovrintendenza. Abbiamo riqualificato alcune strade come via d’Avise, più che raddoppiato la videosorveglianza, rifatto completamente gli impianti di illuminazione pubblica coinvolgendo anche le mura romane dopo accordo con il questore. Questo, senza stancarci, on certo all’ultimo.

Poi, il quartiere Dora con un insieme di opere: le autorimesse, un parco da 11mila m2, una strada che toglierà il traffico dal quartiere, una mensa, un asilo nido, una rotatoria. Poi, considero la pista ciclabile lo strumento di cucitura di tutto questo. Il decentramento dei parcheggi rispetto alle abitudini è un iter in corso. E che piaccia o no ai cittadini, non avremmo potuto farlo prima della ciclabile perché non sempre i tempi della pubblica amministrazione possono avere una programmazione orizzontale, ma serve intercettare finanziamenti quando arrivano e conciliare le azioni in quel momento. E questo abbiamo cercato di fare. Come per la Cittadella dello sport: una zona in metamorfosi totale, dalla pista del Tesolin al nuovo palaghiaccio, passando per la nuova gestione del PalaIndoor, all’intervento da 1 milione sulla piscina scoperta ed il progetto per il nuovo maneggio.

Per Lei è stata la prima candidatura, e non è un politico in senso stretto. Cosa porta a casa da questi cinque anni?

Devo dire che quando sono arrivato mi sono sentito subito a mio agio, anche grazie al bagaglio di esperienze che avevo raccolto in dieci anni di Politiche sociali in Regione, quindi di dirigenza di un Ente pubblico che, comunque, ha delle dinamiche comparabili. Infatti. L’inversione mentale che ho dovuto fare è stata quella di passare da un approccio tecnico ad un approccio politico. Nei primi tempi, devo confessare che scrivevo molto cose da tecnico, ma è stato utile per fare progettazione o per rispondere ai diversi bandi. Dopo di che, ho cambiato il mio approccio e ho cercato di filtrare le opportunità con uno sguardo più politico, cercando cioè di interpretare i bisogni dei cittadini e con una lettura delle cose da trasformare tale per cui ci fosse una compatibilità anche tecnica.

È vero che oggi gli “intellettuale” sono fuori moda. Però, io ho continuato a studiare. E ho studiato perché sono convinto del fatto che azione e riflessione si alimentino l’un l’altra. Chi non studia più non può gestire oggi la cosa pubblica perché è troppo complicato e andrebbe a cozzare continuamente contro vincoli normativi e ‘lacci burocratici’ che ti scoraggiano e ti fanno sentire impotente. Quindi, bisogna non soltanto pensare bene, ma anche trovare le tecniche giuste per far diventare il pensiero un’azione concreta.

Ho cercato di mettere in pratica in modo nuovo e con persone nuove la gestione di risorse umane. E sia con la mia squadra di governo, sia nell’apparato amministrativo, ho ricevuto in cambio tanto. Sia come compattezza, sia come armonia. Questa esperienza mi ha permesso di avere un contatto con persone di ogni tipo, di ogni ceto sociale, di ogni provenienza. Ti investe di responsabilità, ti impegna e ti riempie di carica e di energia positiva. Le persone ti parlano e si confidano perché sei il Sindaco. È un ruolo consacrato.

Si parla, da sempre, di una Aosta dal ruolo “ancillare” rispetto alla Regione. È così? Se sì, c’è un modo di evitare che lo sia?

Nessuno è un’isola e non è neanche opportuno che Aosta viva indipendentemente dal contesto in cui si inserisce. Abbiamo vissuto le turbolenze del palazzo, certo. E se avessimo impostato un confronto, come fatto all’inizio con incontri mensile, credo avremmo potuto fare di più. Con gli interlocutori non abbiamo mai avuto problemi di dialogo. Credo che le istanze di Aosta portate in Regione abbiano portato risultati in città, come nell’ultimo assestamento di bilancio con il quale “portiamo a casa” 10 milioni di opere. 

Che Comune di Aosta ha trovato e che Comune di Aosta lascia?

Ho trovato un Comune resistente e un po’ rallentato nei processi decisionali, per molti motivi: le sofferenze di organico, il Covid, le inchieste che ha subìto, l’‘occhiale’ della Corte dei Conti che ha creato anche un clima di estrema prudenza. Lascio un comune stressato dal molto lavoro e con l’impossibilità di coprire tutti i posti in pianta organica. È il grande tema del futuro.

La città aveva lamiere al posto della nuova Università e dello spazio alberato che oggi ha dietro e davanti, voluto da me. Ho visto una città grigia e la lascio colorata: a livello culturale, ambientale e urbanistico. E abbiamo ancora qualche ‘cartuccia’ da sparare prima di finire. Era una città con pochi eventi ma molto importanti. Li abbiamo tenuti, e gli altri li abbiamo decuplicati. Lascio una città con il 20 per cento di turismo in più ma lascio anche una città invecchiata, e questo è un altro tema del futuro. Una città in cui il commercio al dettaglio è a potenziale rischio estinzione. Il Comune ha armi limitate, rimpiango ancora la mancata alleanza con il mondo del commercio per inventarsi qualcosa insieme.

Lei ha spiegato sovente di non amare molto le “trame” della politica. Pensa di esserne stato, in qualche modo, “vittima”?

Sei vittima solo se sei inconsapevole. Io sono consapevole delle logiche della politica militante. Quando ti presti al gioco della politica puoi diventare vittima di una trama. Quello che io non faccio è tramare: non è il mio modo di leggere la politica. Penso ai personaggi della Prima Repubblica, che in prossimità dell’‘apocalisse’ sapevano guardare lontanissimo. Purtroppo, le trame sono da sempre forme di relazione dell’umanità. Fanno parte del gioco e devi saperlo. Così accetti anche il tradimento, il sotterfugio, la falsità nelle relazioni. Ma è un osservatorio incomparabile sull’umanità.

Si era detto disponibile ad un secondo mandato. Cos’è andato storto?

Anzitutto, io non partecipo alle trattative per il prossimo governo comunale. In cinque anni il quadro generale è cambiato tantissimo, non solo in Valle. Questo comporta necessariamente delle rinegoziazioni. E le persone sono degli strumenti, che piaccia o meno. Avrei potuto dire sin dall’inizio che cinque anni erano sufficienti, ma mi sarei sentito poco responsabile. Può darsi che a suo tempo sia stato un personaggio che potesse rappresentare la trasversalità che serviva. Se oggi non avviene, pazienza. Ma mi sento di difendere quanto fatto: di errori ne sono stati compiuti. Ma in questa amministrazione abbiamo operato mediamente bene e in tutti i fronti. Io non la considererò mai una bocciatura. Poi, qualcuno avrebbe adottato altre priorità. Ma l’impronta nostra, mia e della mia squadra, sulla città è anche indelebile.

Appunto: cinque anni fa, Lei era considerato una figura che potesse “fare sintesi” tra sensibilità politiche diverse. Cos’è cambiato oggi?

Nel 2020 i movimenti politici erano in grande difficoltà. Tutti. Avevano bisogno di una figura di ‘outsider’ che li raccogliesse al di là delle ‘gittate elettorali’. Oggi che si sono un po’ ricompattate o ricollocate esprimono una forza diversa. È anche fisiologico che cerchino di individuare tra loro uomini rappresentanze significative dal punto di vista politico. E mi viene da dire: non per forza per maggiori competenze, ma per rappresentanza.

Sarò maligno: per Aosta siamo ai sindaci “usa e getta”?

È una città è molto piccola. E tende a far risuonare gli umori in modo molto riverberato e persistente. Ad esempio, il tema della ciclabile è diventato un tormentone, che ha annebbiato in gran parte il lavoro a latere di un’opera che neanche è mia. Il problema è che si crea non solo una deformazione ma si seminano astio e rancore che poi si proiettano su persone che diventano facilmente un capro espiatorio. E questo ha bisogno di molto tempo per deteriorarsi. In una grande città ci sono mille altri stimoli, e tutto ‘sclerotizza’ di meno. Qui, noi abbiamo accumulato competenze ed esperienza. Ho raccolto tutto ciò che mi hanno detto i dipendenti comunali alla fine, come ho fatto all’inizio. E chiunque venga dovrà affrontare quei nodi, perché buttare via tutto e ricominciare da capo è una dispersione di energie vitali.

Insomma, è una volontà di cambiare per cambiare oppure un “sacrificio” sull’altare della politica partitica?

Lo scopo del cambiamento è anche psicologico. Come la nostra soglia dell’attenzione si è accorciata, o pensiamo alla voglia di viaggiare con tante piccole vacanze invece di una lunga. Sono specchi di un cambiamento antropologico. L’invocazione del cambiamento a tutti costi, nella politica, serve ad assecondare il fatto che la gente si stufa dei volti, delle parole, dei toni e degli stili. Poi, il resto è un’illusione, perché chi viene qui segue un flusso di trasformazioni lente, non legate per forza ad un decisore politico. La macchina amministrativa è fatta di tecnici con scadenze e adempimenti, appalti e progettazioni in essere che spesso vivono di vita propria. E tu non devi far altro che trovare i soldi e far sì che ciò che si spende, denaro dei cittadini, non sia sprecato. Chi vuole un cambiamento spesso vuole solo facce diverse. Oppure rendite di posizione. Il cambiamento per il cambiamento illude i cittadini. E non è detto che non peggiori.

È vero che Le hanno proposto un posto in lista per le Elezioni regionali?

Non ho mai ricevuto proposte ufficiali. Nel tavolo delle opportunità c’era anche questa, ma sono state interlocuzioni informali, senza che siano mai sfociate in qualcosa di ufficiale. Ma ho sempre manifestato il mio disinteresse per andare in Regione. Il Sindaco ha una posizione di prossimità, completezza, pianificazione che altri ruoli della politica non hanno, men che meno quelli intermedi come quelli regionali. Uno deve fare ciò per cui si sente, almeno, adatto o idoneo. Al suo posto, insomma. Se provassi ad immedesimarmi in una condizione così mi verrebbe l’angoscia. Con tutto il rispetto per chi lo vive, semplicemente non è il mio posto. Per come sono fatto e per come vorrei spendere il resto della mia vita. Poi, in Valle d’Aosta c’è questo mito dell’arrivo in Regione, ma non è il mio.

Domanda malevola: avrebbe accettato una ricandidatura dopo tutti questi silenzi e tentennamenti? Perché, in fondo, alle Comunali mancano tre mesi. Un po’ poco, no?

Dipende dalle condizioni. Ho pensiero metafisico: ciò che è, è. e ciò che deve capitare capita, altrimenti no. Se ci sono delle condizioni generali che ti permettano di compiere una scelta, anche al ‘fotofinishma senti che è autentica, ti ci devi buttare. Anche se sai che è un rischio.

Cosa l’ha resa fiero in questi cinque anni da Sindaco?

Sono fiero di mia squadra, di tutti gli assessori e delle relazioni umane intessute fra noi. Ho molta riconoscenza verso il capo di gabinetto Fabio Molino ed il segretario generale Stefano Franco. E sono felice di aver contribuito alla crescita esponenziale di due giovani: Samuele (Tedesco, Assessore all’Istruzione, alla cultura e alle politiche giovanili, ndr.) e Josette (Borre, vicesindaca e assessora alle Finanze, alla Polizia locale e ai Servizi demografici, ndr.). Nella vicesindaca ho visto maturare un’intelligenza politica fuori dal comune, straordinariamente unita ad una grande sensibilità il cui combinato è una cosa rarissima. Mi auguro che lei si preservi, e che la politica non la disilluda vista la sua grande spinta ideale.

Ha lavorato con grande umiltà, e devo dire che l’ho apprezzata moltissimo. Quando è stata designata dall’Union e da Stella Alpina ho detto: ‘almeno fatemela conoscere’. Sono andato al ‘Siège’ dell’Uv e abbiamo parlato un’ora e mezza, lei ed io. Lì ho capito tutta sua passione per la politica e intuito che era donna acuta. Sono uscito e ho detto: ‘Per me va benissimo’. E non mi sono sbagliato.

E cosa non rifarebbe, o considera un errore?

C’è stato un momento, un paio di anni fa, i cui ho scritto una email a tutti i miei. Ho detto loro: ‘Se non diamo colpo di acceleratore e non riapriamo traffico all’Arco di Augusto in attesa della riqualificazione, mi dimetto. Era l’unico modo per convincere tutti che in quel momento, il traffico all’Arco, almeno da nord a sud, andava ripristinato. Non è sbagliata la scelta di pedonalizzare, ma era improprio il tempo: era troppo presto. Anche se era scritto da tempo nel Piano generale del traffico urbano, anche se ha la sua ragion d’essere nello sviluppo di una città turistica, in realtà lo è solo se piazza Arco di Augusto diventa talmente bella da dire: “non ci vorrei mai andare in auto”.

“Politico”, in senso stretto, non lo è mai stato. Ha intenzione di rimare fuori dalla “politica politicante”? 

Non lo escludo. Non vado certo via “schifato” dalla politica. Anzi, con la stessa passione per la cosa pubblica con cui avevo iniziato questa avventura. Non smetterò mai di occuparmi del “bene comune” e ci sono tanti modi per farlo. Aspetto che la vita mi indichi la strada. Ma sono certo di una cosa: non posso non sforzarmi per far sì che le persone che incontro non stiamo meglio in qualche modo. Ho cercato di farlo da insegante, da volontario, da conferenziere. Io voglio che le persone siano felici di vivere, come lo sono io.

Ha sempre mostrato serenità su un eventuale secondo mandato, rimettendosi alle decisioni altrui. Lascia qualcosa da finire?

Tantissime cose. Una cosa che mi sta molto a cuore, oltre alla fine lavori legati al Pnrr, è l’internalizzazione servizi di verde pubblico. Quindi, con le gare d’appalto limitate solo ai lavori straordinari di grande specializzazione, dove servono attrezzature importanti che un Comune non ha. Vorrei che questa città, per le dimensioni che ha, potesse avvalersi di persone che con una telefonata di segnalazione del tecnico o del Sindaco, come succede nei comuni più piccoli, vadano a metter a posto tutto. Cose che con gli appalti, gli incarichi, i passaggi cadenzati, le regole sui costi specifici, sono molto difficili.

Poi, c’è cosa che averi voluto fare e non ci sono riuscito: aumentare il numero di viali alberati della città. A partire da via Chambéry dove, senza togliere parcheggi, si può fare. O, ancora, la riqualificazione di via Tourneuve.

Però, non credo siano stati cinque anni né anonimi, né inutili. E credo di lasciare città migliore di prima. Non certo perfetta, ma migliore.

Poi, quando si parla di discontinuità o di cambiamento, da una parte penso si voglia tornare un po’ indietro. Io lo dico ai miei successori: oggi, la macchina amministrativa non potrebbe andare più veloce di così. Il massimo possibile l’abbiamo ottenuto. Forse, con 40 persone super-qualificate si potrebbe. Ma alle condizioni attuali no. Tutti hanno fatto il massimo. E lo so perché con i dipendenti ho parlato.

3 risposte

  1. Aumento della micro-criminalità e della insicurezza dei cittadini.
    Strade a pezzi, completamente sfasciate.
    Chiasso notturno, ormai endemico.
    Traffico automobilistico caotico, gestito a spanne.
    Tante chiacchiere di facciata, ma nella sostanza… una cittadina abbandonata a se stessa.

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