Ad Aosta c’era la ‘ndrangheta: condannati a Torino gli imputati del processo “Geenna”

Il Gup Danieli, nel sentenziare su chi aveva chiesto il rito abbreviato, ha inflitto pene per oltre 32 anni ai quattro presunti “partecipi” della “locale” del capoluogo regionale: Bruno Nirta, Marco Fabrizio e Roberto Alex Di Donato e Francesco Mammoliti.
Operazione GEENNA - Udienza preliminare
Cronaca

Ad Aosta c’era la ‘ndrangheta. E’ la conclusione del Gup del Tribunale di Torino, Alessandra Danieli, che ha condannato oggi, venerdì 17 luglio, per associazione a delinquere di stampo mafioso, quattro persone emerse dall’inchiesta “Geenna” dei Carabinieri del Reparto Operativo del Gruppo Aosta e della Dda piemontese come “partecipi” della “locale” da loro organizzata e gestita nel capoluogo regionale.

A Bruno Nirta (62 anni, di San Luca, in provincia di Reggio Calabria) sono stati inflitti 12 anni e 8 mesi di carcere. 9 anni a Marco Fabrizio Di Donato (51, Aosta), 5 anni e 4 mesi al fratello Roberto Alex Di Donato (43, Aosta) e 5 anni e 4 mesi a Francesco Mammoliti (49, Saint-Vincent). Tutti e quattro avevano chiesto, nell’udienza preliminare iniziata lo scorso 13 dicembre di essere giudicati con il rito abbreviato. La sentenza è stata letta attorno alle 15. In mattinata, dopo una ventina di minuti di contro-repliche dell’accusa, il giudice si era ritirato in Camera di consiglio.

I pm della Dda Stefano Castellani e Valerio Longi, assieme alla collega Anna Maria Loreto (nel frattempo nominata procuratore capo di Torino) avevano chiesto, nella loro requisitoria, 20 anni di reclusione per Nirta, che secondo gli inquirenti “tirava le fila” della “locale” aostana (oltre ad essere coinvolto nel traffico di stupefacenti finito nel filone piemontese delle indagini), 14 per Marco Fabrizio Di Donato, considerato il capo del sodalizio (e chiamato a rispondere anche di scambio politico-mafioso e concorso in lesioni personali), 10 anni per il fratello Roberto Alex e 10 anni e 8 mesi per Mammoliti.

Nel procedimento si erano costituite quattro parti civili, cui il giudice sentenziando ha riconosciuto delle provvisionali (somme da versare nell’immediato, con il resto del danno patito che sarà quantificato in un separato giudizio). Alla Regione Valle d’Aosta sono andati 10mila euro (il legale Riccardo Jans aveva chiesto, nei confronti di Bruno Nirta, 300mila euro), al comune di Saint-Pierre 10mila euro (l’avvocato Giulio Calosso aveva presentato un “conto” da 350mila euro tra i due Di Donato, Mammoliti e Nirta), al comune di Aosta 10mila euro (la richiesta dell’avvocato Gianni Maria Saracco era stata di un milione di euro) e all’associazione “Libera Valle d’Aosta” 5mila euro (il legale Valentina Sandroni aveva chiesto 300mila euro).

Davanti al Gup di Torino erano a giudizio anche altre persone cui non veniva contestata l’appartenenza al crimine organizzato, ma chiamate a rispondere di reati emersi durante le indagini dell’Arma. A Salvatore Filice (53, Petilia Policastro, concorso in tentata estorsione e violazione delle norme sulle armi, per una richiesta di denaro seguita a una “scazzottata” tra suo figlio e il nipote del ristoratore aostano Antonio Raso) sono stati inflitti 2 anni e 4 mesi di carcere (l’accusa aveva invocato due anni e otto mesi).

Giacomo Albanini (59, Novara) e Roberto Bonarelli (65, Aosta) si sono visti infliggere, rispettivamente, 1 anno e 4 mesi (pena sospesa, a fronte di una richiesta del pm di un anno e 10 mesi) e 1 anno e 6 mesi (ne erano stati chiesti uno e dieci) di carcere per favoreggiamento. Erano accusati di aver “avvisato” Raso, anch’egli presunto “partecipe” della “locale”, della presenza di microspie nel suo locale.

Tutte le altre condanne pronunciate oggi a Torino sono relative, invece, all’ipotesi di traffico internazionale di stupefacenti tra Spagna e Piemonte e hanno interessato: Vincenzo Argirò (63, Locri, 10 mesi e 20 giorni), Roberto Fabiani (47, Chiaromonte, 3 anni), Rocco Rodi (46, Locri, 1 anno e 4 mesi, pena sospesa), l’avvocato Carlo Maria Romeo (61, Bovalino, 4 anni e 6 mesi), Bruno Trunfio (50, Chivasso, 4 anni).

Tra le prime reazioni al verdetto si registrano quelle del magistrato che ha rappresentato la Procura al momento della lettura della sentenza. “E’ la prima volta che viene riconosciuta a livello giudiziario la presenza della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta. – ha detto all’Ansa Dionigi Tibone – L’impianto accusatorio è stato sostanzialmente confermato”. Sul fronte delle parti civili, l’avvocato Giulio Calosso ha osservato che “per Saint-Pierre è molto rilevante la condanna per scambio politico-mafioso di Marco Fabrizio Di Donato”.

“La sentenza di oggi è soddisfacente – dichiara il legale Riccardo Jans dell’avvocatura regionale – perché riconosce l’impianto accusatorio della Dda di Torino, cui l’ente aveva aderito con la costituzione di parte civile. Per quanto modesta, la Provvisionale certifica che la comunità valdostana, di cui la Regione è l’espressione istituzionale, è stata lesa”.

All’inizio del procedimento, altri cinque presunti “partecipi” non avevano chiesto riti alternativi al Giudice ed erano stati così rinviati a giudizio, con processo avviato al Tribunale di Aosta. Si tratta del ristoratore Antonio Raso (52, Aosta), del consigliere comunale di Aosta sospeso Nicola Prettico (40, Aosta) e del dipendente del Casinò Alessandro Giachino (41, Aosta). Come le quattro persone condannate oggi, sono in carcere dal 23 gennaio 2019, quando scattò il “blitz” dell’Arma che ha palesato l’indagine.

A dibattimento ordinario ci sono anche due assessori comunali all’epoca dei fatti, accusati di concorso esterno nell’associazione: Marco Sorbara (53, Aosta, dov’era titolare della delega alle politiche sociali fino all’elezione in Consiglio regionale, dov’è stato sospeso) e Monica Carcea (45 anni, Saint-Pierre, municipio in cui era responsabile delle finanze). La conclusione del processo aostano, nel quale è previsto la prossima settimana l’esame degli imputati in aula, è prevista per la metà di settembre.

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