‘ndrangheta, la Cassazione riapre il giudizio sulla confisca dei beni di Raso

Sulla questione, i giudici della Suprema Corte hanno annullato il decreto di confisca, stabilendo il rinvio alla Corte d’Appello di Torino per un nuovo giudizio sulla misura di prevenzione. La confisca, seguita al sequestro nel 2019, era scattata nell’aprile 2021.
Antonio Raso durante l'esame in aula.
Cronaca

Pronunciandosi sul ricorso presentato dai suoi legali, la Corte di Cassazione ha annullato – disponendo il rinvio alla Corte d’Appello di Torino per un nuovo giudizio in merito – il decreto del Tribunale del capoluogo piemontese con cui era stata disposta la confisca dei beni oggetto di sequestro preventivo nel 2019 ad Antonio Raso, imputato nel rito ordinario del processo “Geenna” con l’accusa di associazione di tipo mafioso. La Suprema Corte si è pronunciata giovedì scorso, 13 aprile, e le motivazioni della decisione sono attese prossimamente.

Tra i beni al centro del procedimento ci sono le quote di titolarità di Raso della pizzeria “La Rotonda” ad Aosta, un alloggio ed un’autorimessa, due autoveicoli e due conti correnti. La confisca era scattata nell’aprile 2021, quando sul ristoratore aostano – ritenuto dagli inquirenti una figura di rilievo della “locale” di ‘ndrangheta al centro delle indagini – pendeva la condanna a 13 anni di reclusione decisa in primo grado, dal Tribunale di Aosta, poi confermata in secondo, nel luglio 2021, con la pena scesa a 10 anni di carcere.

Un verdetto che il 24 gennaio di quest’anno la Cassazione ha annullato, rinviando la questione ad una diversa sezione della Corte d’appello torinese. Le motivazioni della riforma della sentenza non sono ancora note e il “Geenna bis” non è, di conseguenza, ancora fissato, con l’imputato che, nel mentre, è stato scarcerato (era in cella dal 23 gennaio 2019, giorno del blitz di Carabinieri e Dda di Torino). La misura patrimoniale è di prevenzione, corre quindi su un binario diverso da quello penale e gli avvocati Ascanio Donadio e Pasquale Siciliano avevano impugnato in più sedi anche gli atti di questo “filone” della vicenda.

La tesi degli inquirenti era che “l’acquisizione, o quanto meno l’alimentazione” di una serie di beni intestati o riconducibili al ristoratore fosse avvenuta “in condizioni di palese sproporzione economico-reddituale rispetto al valore dei medesimi”. Le difese, oltre a sottolineare come a Raso (cui, all’atto della confisca, è stata applicata anche la sorveglianza speciale per quattro anni, in ragione della “pericolosità sociale”) non fosse stata contestata la commissione di reati-fine dell’associazione, avevano prodotto anche una consulenza tecnica sui beni. Dopo la conferma della confisca, nei primi gradi del procedimento, ora la Cassazione ha riaperto la partita.

Una risposta

  1. ci sono tante cose che non capisco ma su tutte la giurisprudenza italiota
    colpevolissimo …colpevole…forse non colpevole….innocente

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