I giudici della seconda sezione della Corte d’Appello di Torino non credono a Marco Sobara, quando “interrogato specificamente ha dichiarato che non avrebbe mai sospettato che” il ristoratore Antonio Raso “potesse essere in ‘odore di mafia’”, ma ritengono che “analizzando complessivamente le risultanze probatorie afferenti alla condotta intera del Sorbara-politico”, l’ex consigliere regionale andasse assolto dall’accusa di concorso esterno nella “locale” di ‘ndrangheta emersa dall’indagine Geenna, dinanzi alla “non provata rilevanza penale” delle “condotte asseritamente rafforzative del prestigio del sodalizio aostano” contestategli dalla Dda di Torino.
Lo si legge nelle 640 pagine delle motivazioni, depositate in questi giorni, della sentenza con cui i giudici del dibattimento ordinario di secondo grado, lo scorso 19 luglio hanno affermato la non colpevolezza del politico, rovesciando il giudizio del Tribunale di Aosta, che nel settembre 2020 lo aveva condannato a 10 anni di carcere. Per il presidente Mario Amato e i consiglieri Roberto Cappitelli e Ilaria Guariello, “nessun ‘asservimento’ delle funzioni pubbliche esercitate alle esigenze del clan” (la cui esistenza è stata confermata dai due rami processuali del grado d’Appello) “risulta dimostrato nella sfera giuridica” di Sorbara, pure “quando l’interesse del gruppo perfino coincida con quello ‘privato’ di un importante rappresentante dello stesso”.
Nessuna investitura pre-elettorale
Per i giudicanti, sono molteplici i fattori che conducono a tale conclusione. In prima battuta, “un sereno ed attento esame del materiale captativo (ad indagare erano stati i Carabinieri del Reparto Operativo, ndr.) non consente di ritenere provato che” il già Assessore alle politiche sociali del comune di Aosta “ricevette l’investitura pre-elettorale” dalla cellula ‘ndranghetistica “facente capo” a Marco Fabrizio Di Donato (per il quale è stata confermata, dalla Corte d’Appello, la condanna a 9 anni di carcere). In sentenza, i giudici osservano che “vi è un solo episodio in cui, nel volgere di diversi anni, i due si vedono” e “ciò basterebbe a porsi quanto meno il forte dubbio sulla effettività di un sostegno al Sorbara”.
L’aiuto nel 2015? Non pervenuto…
Un’ipotesi peraltro smentita “anche dal tenore complessivo delle intercettazioni relative alla campagna elettorale per le amministrative del 2015, dove Di Donato mai fa il nome di Sorbara e lo stesso amico Raso non fa mistero di puntare” su altri candidati, “salvo farsi sfuggire, in un’occasione che ‘…c’è anche Sorbara’”. Quanto alla tornata elettorale per il 2018, quella in cui per il politico assolto si aprirono le porte del Consiglio Valle, dalle intercettazioni dell’inchiesta “Egomnia” (sul presunto condizionamento, da parte della ‘ndrangheta, del suffragio), “emergono, almeno per quanto a conoscenza” dei magistrati d’appello, “perfino elementi favorevoli all’imputato”.
Nessun coinvolgimento in “Egomnia”
Se il Tribunale di Aosta sostiene che Raso, intercettato il 23 maggio 2018, “non farebbe mistero di aver sostenuto il Sorbara” ad approdare a piazza Deffeyes, per la Corte il fatto che l’ex consigliere regionale “non compare tra i destinatari” dell’avviso di chiusura delle indagini preliminari dell’inchiesta sullo scambio elettorale-politico mafioso, a differenza del ristoratore, “appare più che sufficiente per smentire l’assunto del Tribunale”. Sviluppata tale premessa, i magistrati entrano nel merito delle due vicende da cui erano derivate le accuse a Sorbara, vale a dire le presunte irregolarità nella concessione della saletta espositiva comunale ad artigiani calabresi (in occasione della fiera di Sant’Orso) e nella donazione di mobili al comune calabrese di San Giorgio Morgeto.
Attività amministrativa regolare
In entrambi i casi, per i giudici del secondo grado, in ragione di alcune omissioni valutative dei colleghi aostani, “non si vede come possa parlarsi”, in capo al politico, “della prestazione di un contributo che si risolva in una ‘condizione necessaria per la conservazione o per il rafforzamento della capacità operativa’ dell’associazione” mafiosa. “Né, del resto, – è scritto ancora in sentenza – può giungersi a diversa conclusione passando in rassegna le altre vicende”, ritenute in primo grado “patente dimostrazione del metodo ‘clientelare’ di far politica del presunto concorrente esterno”. L’attività amministrativa dell’imputato “è stata passata al setaccio dagli inquirenti, senza che emergessero irregolarità di sorta e men che meno foriere di poter sortire sviluppi in sede penale o di giustizia contabile”.
Asservimento a Raso? Non pare
Infine, quanto ad “alcune intercettazioni”, da cui il primo grado “evince un ‘asservimento’ del Sorbara ad Antonio Raso’”, queste “se confermano la tendenza dell’imputato a rapportarsi in termini finanche confidenziali con qualunque interlocutore”, costituiscono “in realtà espressione proprio delle modalità di approccio del Sorbara alle tematiche politiche quotidiane”. Certo, “dalle stesse, per il loro carattere indiretto e per la loro genericità ed episodicità non può evincersi la prova del ritenuto asservimento, che peraltro, a ben leggere altre intercettazioni in cui è lo stesso Sorbara ad interloquire direttamente, pare ben lontano dal materializzarsi”. In quattro parole, il fatto non sussiste.