Il raddoppio del traforo del Monte Bianco, un buco nella montagna o un buco nell’acqua?

La corsa ad immaginare una “seconda canna” del Monte Bianco si perde nel tempo. Dai “no” del Consiglio Valle diventati dei “ni”, fino alle aperture di oggi. Il tutto, fra cambi di consiglieri, governi e ministri. Ma ad opporsi, da sempre, è la Francia. Che per prima aveva immaginato il raddoppio.
Tunnel Monte Bianco
Società

La storia è un corso e ricorso, si ripete. E alle nostre latitudini non serve scomodare il filosofo Giambattista Vico per saperlo. Ogni tanto, ciclicamente, un argomento in particolare torna agli onori delle cronache e delle agende politiche. È la cosiddetta “seconda cannadel Tunnel del Monte Bianco, il raddoppio della galleria voluto, cercato, discusso e, spesso, dimenticato.

Se restiamo al “qui e ora” – al netto dei tre mesi di chiusura autunnali previsti per i prossimi 16 anni, cominciati nel 2023 per i lavori di risanamento della volta –, abbiamo l’incontro del Comitato di cooperazione transfrontaliera andato in scena a Nizza lo scorso 6 febbraio. Lì, c’era anche il presidente Testolin. E, soprattutto, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ad annunciare un “tavolo tecnico di fattibilità per la seconda canna” del traforo.

Ipotesi di raddoppio, però, smontata a stretto giro dal governo francese per bocca del ministro dei Trasporti Philippe Tabarot come confermano, peraltro, i media d’Oltralpe. Ma, soprattutto, come anticipa via social il deputato dell’Alta Savoia Xavier Roseren, dopo aver ricevuto la lettera ministeriale.

Questione interessante e che tocca tanti ambiti. Interessante soprattutto perché 35 anni fa, nel lontano 1990, l’ipotesi di raddoppio del tunnel arrivava proprio dai cugini transalpini. Non troppo tempo dopo, quindi, l’inaugurazione dell’infrastruttura nel luglio 1965 alla presenza dei due presidenti della Repubblica Giuseppe Saragat e Charles de Gaulle.

La fine dei lavori inaugurazione del traforo del Monte Bianco
La fine dei lavori inaugurazione del traforo del Monte Bianco

Progetto abbandonato poi nel 1994 – come raccontano le cronache francesi – ma che il presidente di Atmb (Autoroutes et tunnel du Mont-Blanc, i gestori d’oltralpe) Charles Salzmann, in carica dal 1989 al 1992, come riportava Le Nouvel Obs a margine di un processo, “ha dichiarato di essersi reso conto molto presto dei pericoli del tunnel e ha spiegato la sua lotta vana per la costruzione di due canne riservate ai camion”.

Il tunnel, si legge, “non era soddisfacente e avevamo la sensazione che la situazione sarebbe peggiorata sempre di più”, prosegue il settimanale virgolettando Salzmann e scrivendo che l’ex Presidente Atmb specificava “di aver immediatamente proposto di scavare una seconda canna accanto alla prima”.

“Ma di fronte all’opposizione degli abitanti di Chamonix – dice ancora l’articolo de Le Nouvel Obs ­–, ha poi proposto un tunnel più lungo per i camion (30 km) composto da due canne separate, che partisse da una quota più bassa per evitare che i mezzi pesanti dovessero salire fino a 1.000 metri di altitudine”. Progetto però rapidamente abbandonato per il collegamento autostradale Annemasse-Evian che, a sua volta, non è mai stato realizzato.

Negli anni, si sono incrociati tanti elementi che hanno fatto dire sempre piùnoe sempre più categorici dall’altra parte del confine. O, come spiegava il (sempre agguerrito) sindaco di Chamonix Éric Fournier, replicando nel 2016 alle parole che l’allora presidente della Regione Augusto Rollandin aveva speso all’assemblea di Confindustria, il raddoppio erauna proposta irricevibile e senza fondamento”.

Dall’altro lato del “Tetto d’Italia”, insistono fattori annosi. Uno di questi è l’inquinamento della Valle dell’Arve alle stelle già dieci anni fa – come scrivevamo qui e come hanno continuato a riportare a varie riprese i media francesi (da Libération a Le Monde) e svizzeri (come Le Temps) –, e che ha portato le associazioni locali a chiedere insistentemente informazioni più precise sella qualità dell’aria, in una zona recentemente dichiarata in “allerta rossa”.

Dall’altro lato, lo scrivevamo qualche anno fa – anche se i tempi erano ottimistici – rimane ancora l’incognita del Tav, il collegamento ferroviario Torino – Lione che potrebbe rendere più marginale la necessità di passare dal Bianco. Anche se la fine dei lavori è ancora un enigma.

A spostare inevitabilmente le priorità è stato il terribile incendio del 24 marzo 1999, quando le fiamme divampate nel tunnel – causate dal camion guidato dal belga Gilbert Degrave, carico di margarina e farina, ha improvvisamente preso fuoco – hanno causato la morte di trentanove persone.

Incendio nel traforo del Monte Bianco – foto archivio Vallée Notizie

Dopo il rogo, l’ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Pietro Lunardi – in carica nel Governi Berlusconi II e III, dal 2001 al 2006 – aveva sostenuto più volte la necessità della realizzazione di un altro scavo parallelo all’attuale. Diversi anni dopo, intervistato dalla Tgr Valle d’Aosta, l’ingegnere spiegava che “con quel tipo di investimento potevamo fare una seconda canna”. E, sui timori francesi di aumento del traffico diceva: “Avendo una canna di andata in Francia e una di ritorno in Italia nell’altra canna, si ha un sistema perfetto che mantiene lo stesso traffico di oggi, né più né meno”.

Snocciolando anche una stima dei costi: “Il lavoro si fa con 400/500 milioni. Se investiamo per fare una galleria gemella senza disturbare il traffico, si può immaginare il risparmio. Dovrebbero riflettere tutti di questo argomento e andrebbe discusso con i francesi”, diceva ai microfoni Rai bocciando i tre mesi di chiusura l’anno per 18 anni.

Nei tre anni di chiusura dopo il rogo, chiudeva l’ex Ministro, “si facevano anche più di dieci chilometri di galleria. Si poteva benissimo fare la stessa cosa spendendo molto meno e avendo un risultato, a lungo termine, molto migliore”.

Tanti raddoppi, ma solo in Consiglio Valle

Traforo del Monte Bianco

In piazza Deffeyes la questione è stata dibattuta parecchie volte negli ultimi quarant’anni. Dallo storico del Consiglio Valle, la prima interpellanza che cita letteralmente il raddoppio è del 1983, presentata da Vigilio Berti della lista Artigiani e Commercianti Valdostani, nella quale si chiedono lumi sulle “affermazioni che avrebbe fatto il Presidente della Regione Piemonte circa il raddoppio della galleria del Monte Bianco”.

L’allora assessore ai Lavori pubblici, il democristiano Giuseppe Borbey, replicava senza troppi giri di parole che “se il Presidente della Regione Piemonte si interessasse a favore della Valle d’Aosta per il raddoppio della strada invece che per il traforo, forse farebbe qualcosa di meglio che non parlare di cose che sono nel futuro e non a breve scadenza”.

Il 13 luglio del 1990, la Giunta regionale guidata da Gianni Bondaz (Dc), in una delibera esprimeva “ferma e netta opposizione a progetti di raddoppio del tunnel stradale del Monte Bianco”.

A stretto giro, il 25 gennaio 1991, la questione viene ribadita anche dall’altra parte del confine, quando otto sindaci dell’Alta Savoia – capitanati dall’allora primo cittadino di Chamonix Michel Charlet – hanno diffuso un comunicato per ribadire la totale opposizione ad un nuovo tunnel stradale, chiedendo però l’avvio della progettazione di un sistema per il trasporto di camion per via ferroviaria. Opzione che – diceva in Consiglio l’allora assessore ai Trasporti Augusto Fosson – “potrebbe essere la variante decisiva per impedire la discussa costruzione del secondo traforo stradale del Monte Bianco”.

Il tema resta in stand-by a causa del rogo del ’99. Ma il 26 aprile 2001, replicando ad un’interpellanza di Carlo Curtaz (Per la Valle d’Aosta – con l’Ulivo) scritta dopo alcune dichiarazioni del ministro dei Lavori pubblici Nerio Nesi, il presidente Dino Viérin spiegava che “al momento non è stata avanzata alcuna proposta per la costruzione di un secondo tunnel di sicurezza, per cui non possiamo che restare sulle nostre posizioni e ribadire il nostro rifiuto a un progetto di raddoppio del traffico nel tunnel stradale sotto il Monte Bianco”.

Consiglio Regionale

Nel tempo, i “no” si sono susseguiti e dopo Viérin sarà Carlo Perrin ad ufficializzare un nuovo diniego nel 2003, anche se nel 2005 si scatena la polemica. In un’intervista a La Stampa Perrin stesso, già ex Presidente, diceva che parlare di una canna di sicurezza avrebbe celato, di fatto, un raddoppio del traforo.

Il Comitato contro il ritorno dei Tir attacca allora il presidente Caveri in primis che in una nota ribadiva la sua contrarietà al raddoppio del traforo del Monte Bianco “prima come Deputato a Roma, poi come Presidente della Commissione Trasporti del Parlamento Europeo, successivamente come Assessore con delega ai Trasporti e infine come Presidente della Regione”. Insomma, spiegava Caveri, “ho scritto, detto e ripetuto in sedi ufficiali che sono stato e resterò contrario al raddoppio del Traforo del Monte Bianco”.

Nel 2009, era il 16 aprile, il Consiglio Valle approva una mozione con ampio dibattito in Aula – di “Dissenso al raddoppio del Traforo”. Rollandin, presidente della Giunta, spiegava che “per quanto riguarda il raddoppio, se lo si intende come collegato all’aumento del traffico allora non c’è discussione perché non siamo intenzionati a seguire questa via. Diverso il discorso se si vuole tale operazione solo esclusivamente per la sicurezza”.

Lo stesso Rollandin, nel giugno 2011, risponde ad un’interpellanza di Roberto Louvin (Alpe): “Negli incontri con il Governo sui programmi infrastrutturali strategici è stata illustrata la posizione della Valle che si oppone al raddoppio del traforo del Monte Bianco”.

È invece l’estate 2012 quando Patrizia Morelli (Alpe) risolleva la questione dopo una dichiarazione del presidente Sitmb al giornale Le Dauphiné Libéré sulla volontà italiana di procedere alla realizzazione della seconda canna. Rientrati in aula, il Consiglio approva all’unanimità una mozione che “impegna il Presidente della Regione a riaffermare la contrarietà nei confronti del raddoppio del Traforo del Monte Bianco nelle sedi istituzionali opportune”.

Idem nel 2016 – presidente è sempre Rollandin –, quando ad esser approvata, sulla falsariga, è invece una risoluzione di maggioranza.

Cambia l’aria?

Invece, nel 2019, l’aria cambia. Alberto Bertin e Chiara Minelli – entrambi allora in Rete civica – si vedono bocciare la mozione “contrarietà al raddoppio del tunnel del Monte Bianco”. E, stando al dibattito in Aula, la chiusura sul tema diventa meno assoluta rispetto al passato. Anche se, si dice in Consiglio, nulla è stato deciso.

Però, è la notizia delle chiusure dell’infrastruttura per tre mesi l’anno per 18 anni di fila a cambiare le completamente le carte in tavola.

Tunnel Monte Bianco
I lavori nel Tunnel del Monte Bianco.

Durante la discussione sul Documento di economia e finanza 2023/25, il 1° dicembre 2022, un ordine del giorno depositato da Union, Lega, Alliance-VdA Unie, Gruppo misto, Forza Italia, Pour l’Autonomie e Fp-Pd, “a fronte dei lunghi periodi di chiusura previsti”, impegna Giunta e parlamentari affinché “si interloquisca con il Governo francese per trovare le migliori soluzioni tecniche, che assicurino un futuro certo all’itinerario attraverso il Monte Bianco anche con scelte di separazione del traffico”.

E se Minelli – qui in quota Pcp – si astiene spiegando che “il Consiglio regionale negli anni si è espresso più volte contro il raddoppio del Tunnel del Monte Bianco e noi rimaniamo coerenti con queste posizioni”; il capogruppo Uv Aurelio Marguerettaz replicava che “sapere che per 18 anni, vi saranno tre mesi di chiusura all’anno del Tunnel è una vera tragedia. La certezza dell’apertura del transito fa la differenza e il raddoppio del tunnel non è sinonimo di raddoppio di traffico, bensì di raddoppio della sicurezza. Nessuno vuole cementificare: vogliamo creare delle infrastrutture che diano sicurezza al traffico e diano garanzie per la sicurezza. Oggi, si può fare un ragionamento”.

Caveri, assessore alle partecipate, diceva che “la Francia, al momento, ha espresso un no ad un tunnel parallelo alla canna attuale sotto il Monte Bianco, mentre pare esserci un’apertura su un tunnel per i mezzi pesanti con un tunnel di base. C’è bisogno di scelte concordate per l’avvenire del Tunnel del Monte Bianco e l’appello va anche alle autorità comunitarie perché si tratta di un collegamento viario internazionale e non solo frontaliero”.

Dai lidi di Forza Italia, invece, il capogruppo Pierluigi Marquis spiegava: “Abbiamo bisogno di separare il traffico in andata e in ritorno proprio per evitare di essere così penalizzati quando ci sono dei lavori”.

Nel marzo 2023 le associazioni di categoria – Confindustria, Adava, Confartigianato, Confcommercio, Coldiretti e Cna – chiedono di “valutare in maniera approfondita l’opzione del raddoppio” che, secondo il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, era oggetto di confronto con la Francia”.

Ad ottobre, al Festival delle Regioni di Torino, il presidente Renzo Testolin torna sul tema insistendo sulla “necessità di raddoppio del Tunnel del Monte Bianco non solo a fini commerciali, ma anche per la piena continuità di rapporti fra le comunità”. Esattamente un anno dopo – nell’ottobre 2024 –, sempre da Torino, Testolin ha ricordato la recente interlocuzione con il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot “che si è dimostrato sensibile al tema”.

Da Saint-Vincent gli imprenditori “spingono” per la seconda canna, prima di arrivare ai giorni nostri. Quelli di un tunnel chiuso per tre mesi l’anno, ancora per sedici anni. Quelli del comitato tecnico di fattibilità del raddoppio proposto a Nizza dal ministro Antonio Tajani e del nuovo “no” ribadito dal governo francese scandito dal ministro Tabarot. Aspettando un nuovo “buco” nella montagna che, ad oggi, è unbuco nell’acqua”.

3 risposte

    1. Seguire l’esempio Svizzero del tunnel del San Gottardo è troppo semplice per Italiani e Francesi.

  1. Opporsi al raddoppio del traforo del Monte Bianco, opporsi alla TAV, opporsi alle ale eoliche, ai pannelli solari, ai combustibili fossili, opporsi a tutto e poi infuriarsi se l’ultimo gadget elettronico cinese che abbiamo ordinato su Amazon ci arriva in due giorni invece che in uno … incoerenza e ipocrisia queste sono le caratteristiche peculiari di verdi, ambientalisti e woke. Come dice quel signore la domenica sera da Fazio? Bentornati al medioevo!

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