Meno di cinque minuti. Tanto è servito stamane, nell’aula del processo “Geenna”, su infiltrazioni di ‘ndrangheta in Valle, per verificare che l’accusa (per la Dda di Torino è presente il pm Stefano Castellani) rinunciasse effettivamente, come annunciato ieri, a replicare alle arringhe difensive. Il collegio presieduto da Eugenio Gramola si è quindi ritirato in camera di consiglio per assumere la decisione nei confronti dei cinque imputati a giudizio con rito ordinario, che arriverà “non prima delle 16” di oggi, mercoledì 16 settembre.
Il verdetto chiuderà il processo di primo grado per gli imputati di una vicenda esplosa il 23 gennaio 2019. Quella notte, i Carabinieri arrestano, tra la Valle d’Aosta, il Piemonte, la Calabria ed altre località, sedici persone, in applicazione dell’ordinanza del Gip del Tribunale di Torino, Silvia Salvadori. Tra di esse ci sono coloro che la Dda del capoluogo piemontese ritengono aver promosso, organizzato e gestito la “locale” di ‘ndrangheta attiva ad Aosta.
Si tratta di Bruno Nirta (62 anni, di San Luca), Marco Fabrizio Di Donato (51, Aosta), suo fratello Roberto Alex Di Donato (42, Aosta), del titolare della pizzeria “La Rotonda” Antonio Raso, del dipendente del Casinò e consigliere comunale ad Aosta (oggi sospeso) Nicola Prettico, di un altro croupier della Casa da gioco Alessandro Giachino (41, Aymavilles) e di Francesco Mammoliti (49, Saint-Vincent).
In manette finiscono anche il consigliere regionale (poi raggiunto dalla sospensione) Marco Sorbara, nell’inchiesta per fatti risalenti a quando era assessore alle politiche sociali al comune di Aosta, e l’allora assessore alle finanze a Saint-Pierre Monica Carcea (che si dimetterà pochi giorni dopo). Ad entrambi è contestato il concorso esterno nel sodalizio, che li avrebbe sostenuti alle elezioni amministrative 2015, ricevendo in cambio informazioni riservate sui due enti ed “interessamenti” per il rinnovo di servizi e altre pratiche.
Il mattino dopo il “blitz”, il Consiglio regionale e quello di Aosta sono convocati. Le assenze degli arrestati e le notizie che prendono corpo con il passar delle ore scuotono i palazzi del potere. Anche perché gli inquirenti, nella conferenza stampa convocata per illustrare i primi dettagli dell’operazione “Geenna”, parlano di “rapporto significativo” della ‘ndrangheta valdostana con il mondo politico.
Il “modus operandi” della locale si completa, secondo le investigazioni iniziate nel 2014, con episodi d’intimidazione, “ambasciate” in Calabria e procacciamento di posti di lavoro per amici e parenti dei boss. Le indagini dei pm Longi e Castellani si chiudono durante l’estate. Dalle risultanze dell’inchiesta, per gli episodi riguardanti i due comuni in cui erano eletti gli arrestati, nasce il duplice accesso antimafia nei Municipi, che si concluderà con lo scioglimento dell’amministrazione di Saint-Pierre, Aosta risulterà aver opposto sufficienti “anticorpi” al condizionamento.
“Geenna” diventa un processo il 12 dicembre 2019, quando si tiene l’udienza preliminare dinanzi al Gup Alessandra Danieli, a palazzo di giustizia di Torino. In quell’occasione, a seguito del deposito di un’annotazione dei Carabinieri del Nucleo Investigativo, affiora anche l’inchiesta “Egomnia”, sempre della Dda, sul condizionamento delle regionali 2018 da parte della “locale”. Nelle carte compaiono, tra gli altri, il presidente della Giunta in carica in quel momento, Antonio Fosson, gli assessori Laurent Viérin e Luca Bianchi, nonché il consigliere Stefano Borrello. Tutti si dimettono, scatenando la crisi irrisolta, per cui si terranno le elezioni anticipate del prossimo week-end.
E’ anche il momento in cui i cammini degli imputati si dividono. In cinque (Raso, Prettico, Giachino, Carcea e Sorbara) non chiedono riti alternativi e andranno a processo, con rito ordinario, al Tribunale di Aosta, mentre i fratelli Di Donato, Mammoliti e Nirta continuano con l’abbreviato (assieme agli imputati per l’altro filone delle indagini, un traffico di droga internazionale, tra Spagna e Italia).
La crisi Covid-19 rallenta il giudizio piemontese, ma la sentenza arriva lo scorso 24 luglio ed è di colpevolezza per tutti. A Bruno Nirta vengono inflitti 12 anni e 8 mesi, 9 a Marco Fabrizio Di Donato, 5 anni e 4 mesi al fratello Roberto Alex Di Donato e 5 anni e 4 mesi a Francesco Mammoliti. Il processo ad Aosta prende il via il 3 giugno di quest’anno, in un’aula “trasformata” per renderla rispondente alle prescrizioni contro la pandemia.
Il centinaio di testimoni citati da accusa e difesa, l’esame degli imputati e la discussione delle parti richiedono 15 udienze, che durano quasi tutte dal mattino al tardo pomeriggio, con una pausa minima. Si arriva così ad oggi, con la Dda torinese che, per voce del procuratore capo Anna Maria Loreto, ha chiesto in tutto 58 anni di carcere per i cinque imputati (16 per Raso e 12 per Prettico le pene più alte, cui si aggiungono 10 anni ognuno per Giachino, Sorbara e Carcea) e le quattro parti civili (la Regione, i comuni di Aosta e Saint-Pierre e l’associazione “Libera Valle d’Aosta”) un risarcimento danni per oltre 2,5 milioni di euro in tutto.
Per parte loro, le difese hanno reagito unanimi nel sollecitare l’assoluzione dei rispettivi assistiti e nel ritenere il processo “costruito” su anni di intercettazioni telefoniche, il cui contenuto ha – a dire degli avvocati – trovato scarso riscontro nelle testimonianze susseguitesi in aula. “Millanterie”, “banfate” o “sonore balle”, come hanno sostenuto dall’inizio i legali, o reati di crimine organizzato, quindi infiltrazioni di ‘ndrangheta anche nell’estremo nord-ovest, com’è per l’accusa sin dall’inizio? Oggi la Valle avrà una (prima) risposta.