‘ndrangheta in Valle d’Aosta: operazione “Geenna”, storia di un’indagine

Dossier

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L’inchiesta “Geenna”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino e sviluppata dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo Aosta, è stata la prima indagine culminata nella contestazione giudiziaria della presenza in Valle d’Aosta di una “locale” di ‘ndrangheta (alcuni elementi sono stati ricondotti alla ‘ndrina Nirta “La Maggiore” di San Luca, in provincia di Reggio Calabria).
Le attività investigative hanno preso in esame l’arco di tempo tra il 2014 e l’inizio del 2018, ma l’inchiesta ha destato clamore nella nostra regione dal 2019, anno in cui sono scattati gli arresti e poi per il processo e i suoi esiti, sviluppatosi in due filoni. Meno si è parlato delle origini di “Geenna”. E’ la parte che ci siamo prefissi di esplorare, attraverso un’intervista ad un investigatore che ha vissuto in prima persona le indagini.
Si tratta di Cesare Neroni, sottufficiale a capo del Nucleo Investigativo dell’Arma sino al 2016, anno del suo congedo. Nell’intervista realizzata con lui, ripercorriamo come si è giunti a “Geenna”, che muove i suoi passi da attività d’indagine del passato e che, grazie all’accresciuto compendio d’informazioni raccolto cammin facendo, ha consentito una rilettura complessiva del fenomeno. Ai nostri microfoni, Neroni ripercorre anche il perché del nome dell’operazione.

Il “blitz”: scattano 16 arresti, 8 in Valle d’Aosta

blitz

Il 23 gennaio 2019 è iniziato da poche ore quando oltre trecento Carabinieri entrano in azione in Valle d’Aosta, Piemonte e Calabria per dare esecuzione all’ordinanza del Gip di Torino, Silvia Salvadori, che dispone sedici arresti.

Con il far del giorno trapela che in carcere sono finiti il consigliere regionale Marco Sorbara (atteso proprio quel mattino ad una seduta dell’Assemblea), l’assessore al Comune di Saint-Pierre Monica Carcea, il consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico, oltre ad Antonio Raso, titolare della pizzeria “La Rotonda”.

La conferenza stampa indetta dalla Dda torinese completa il quadro. La “locale” di Aosta sarebbe stata coordinata da Bruno Nirta (62 anni, San Luca), capeggiata da Marco Fabrizio Di Donato (51, Aosta) e composta dal fratello Roberto Alex (42, Aosta), dal dipendente del Casinò Alessandro Giachino (41 anni, Aymavilles) e da Francesco Mammoliti (49, Saint-Vincent), oltre a Raso e Prettico. Tutti sono accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso.

Sorbara (quale ex assessore comunale ad Aosta) e Carcea sono invece implicati per concorso esterno nel sodalizio criminale. Gli altri arresti si riferiscono ad un traffico internazionale di stupefacenti tra il Piemonte e la Spagna, con le relative indagini curate dai militari del Raggruppamento Operativo Speciale di Torino.

Il dialogo della “locale” con la politica

Le 920 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare restituiscono come, dalle evidenze raccolte dai pm Stefano Castellani e Valerio Longi, la “locale” decapitata dal blitz avesse avvolto con i suoi “tentacoli” i municipi di Saint-Pierre e di Aosta e, più in generale, intrattenesse un “dialogo” con la politica tale da delineare vere e proprie “zone grigie”.

Gli inquirenti, inoltre, fotografano un agire dei presunti ‘ndranghetisti a base di episodi d’intimidazione (non solo nelle circostanze, ma anche nel “lessico”), di viaggi in Calabria dei partecipi per affermare la cellula valdostana, del procacciamento di posti di lavoro per amici e parenti dei boss, ritenuti tutti elementi fondanti del reato associativo di tipo mafioso.

Gli eletti sospesi dalle cariche

Marco Sorbara – Monica Carcea – Nicola Prettico

Tutti gli indagati vengono sottoposti ad interrogatorio di garanzia, all’indomani dei fermi. Tre di loro (Sorbara, Carcea e Roberto Alex Di Donato) presentano istanza di scarcerazione, che viene respinta in febbraio.

Nel frattempo, Carcea si dimette dagli incarichi in Consiglio e Giunta a Saint-Pierre. Per Prettico e Sorbara scatta invece la sospensione dalle rispettive cariche pubbliche, ai sensi della legge “Severino”.

Dopo altre quattro istanze di affievolimento della misura cautelare, tutte bocciate, a Sorbara vengono concessi gli arresti domiciliari il 24 agosto 2019, per quanto i giudici ne rendano un giudizio di “persistente pericolosità sociale”. Carcea passa alla detenzione domiciliare il 12 giugno 2019. Tutti gli altri coinvolti nell’inchiesta restano in cella, in regime di carcerazione preventiva.

L’inchiesta si chiude nel 2019

Il 14 febbraio 2019, l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso aggrava il carico degli addebiti mossi a Marco Fabrizio Di Donato e Raso. È relativa alle loro condotte in occasione delle elezioni comunali del 2015.

L’inchiesta termina in estate: sono 20 le persone che ricevono l’avviso di chiusura delle indagini preliminari. Oltre ai nomi già emersi si contano anche tre indagati per favoreggiamento: avrebbero avvertito Raso della presenza di “cimici” degli inquirenti nel suo locale.

Il 23 gennaio 2020, ad un anno esatto dal “blitz”, emergono nuovi episodi non ancora noti, tratti da un’annotazione dell’Arma sulle investigazioni condotte.

Il 12 dicembre 2019, la Direzione Investigativa Antimafia sequestra i beni di Raso, tra partecipazioni societarie, immobili, auto e rapporti finanziari, per un totale che supera il milione di euro.

Gli accessi antimafia ad Aosta e Saint-Pierre

Sulla base delle risultanze dell’inchiesta, il Ministro dell’Interno autorizza il 5 marzo 2019 l’accesso antimafia ad Aosta e Saint-Pierre. Le Commissioni, chiamate ad accertare l’infiltrazione della criminalità organizzata nell’attività amministrativa, si insediano il 9 aprile 2019 e consegnano le relazioni conclusive sei mesi dopo.

Gli accertamenti condotti, che vengono valutati dal Comitato Ordine e Sicurezza Pubblica l’8 novembre 2019, dipingono uno scenario di possibili negligenze nel capoluogo regionale e di maggiori complessità nel municipio dell’alta Valle.

In novembre le relazioni arrivano al Ministero dell’Interno (e saranno spedite anche alla Procura regionale della Corte dei Conti). La procedura termina nei primi giorni di febbraio 2020: niente scioglimento per Aosta e commissariamento per Saint-Pierre, che si aggiunge alla lista record di enti “azzerati” dal Governo, negli ultimi due anni, per interferenze delle mafie. La Procura di Aosta decide, inoltre, l’apertura di fascicoli sui procedimenti campionati dalle Commissioni.

La relazione della Commissione che ha proceduto all’ispezione a Saint-Pierre pone alla base dello scioglimento le “interferenze” dell’ex assessore Carcea sull’attività dell’ente, ricondotte allo stile della “mafia silente”, oltre a fotografare una situazione di disordine amministrativo in alcuni settori. Tra maggio e luglio del 2021 – con l’esame da parte del Cosp prima, e la proposta del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese – viene stabilita la proroga per sei mesi del commissariamento, che terminerà quindi nel 2022.

Per quanto riguarda, invece, il capoluogo regionale, i commissari sottolineano nella relazione conclusiva che “pur in presenza di una situazione caotica nell’azione amministrativa”, sia a livello politico che dell’apparato”, la stessa non è “riconducibile ad una connivenza tra il ‘locale’ ‘ndranghetista di Aosta” e l’amministrazione.

Nelle ultime settimane del 2019, poco prima di Natale, dal Consiglio dei Ministri era anche stato sciolto il comune di San Giorgio Morgeto (Reggio Calabria), sottoposto ad ispezione sempre a seguito del quadro tratteggiato dall’inchiesta “Geenna”.

Il processo svela una seconda indagine 

Palazzo regionale
Palazzo regionale

Alla fine del 2019, “Geenna” da inchiesta diventa processo. L’udienza preliminare viene convocata per il 12 dicembre al palazzo di giustizia di Torino, dinanzi al Gup Alessandra Danieli. In vista dell’appuntamento, l’associazione “Libera Valle d’Aosta”, i comuni di Aosta e Saint-Pierre e la Regione stabiliscono di costituirsi parte civile.

Una volta in aula i difensori degli imputati chiedono tempo per approfondire gli atti depositati nei giorni prima dai pm Longi e Castellani. Un fulmine a ciel sereno: 800 pagine sull’indagine “Egomnia”, relativa al condizionamento della “locale” aostana delle elezioni regionali 2018. Le carte chiamano in causa alcuni “big” della politica, a partire dal presidente della Regione in carica, Antonio Fosson.

All’udienza successiva, il 19 dicembre, il giudice non ammette la Regione tra le parti civili, per un vizio della richiesta di costituzione, e procede alla scelta dei riti da parte degli imputati.

In cinque (Sorbara, Carcea, Raso, Prettico e Giachino) scelgono il dibattimento ordinario e verranno così giudicati ad Aosta, in un nuovo filone del procedimento. I fratelli Di Donato e Francesco Mammoliti optano, invece, per l’abbreviato, proseguendo il cammino dinanzi al Gup di Torino.

“Egomnia”, il terremoto nella politica valdostana

Antonio Fosson

Definita una “costola” di “Geenna”, l’indagine di cui si scopre l’esistenza nell’ambito del processo torinese riguarda il rinnovo del Consiglio Valle, a maggio 2018, quando la presunta “locale” di ‘ndrangheta sceglie, secondo gli inquirenti, di “puntare” su alcuni candidati in corsa.

Le investigazioni vedono incontri tra i politici e i supposti boss (che denotano anche insofferenza per il consigliere uscente Alberto Bertin, promotore di iniziative antimafia) ed evidenziano un “connubio politico-criminale ben radicato nel tessuto sociale”.

Nel giro di alcuni giorni si scopre che, durante l’estate, avvisi di garanzia erano stati notificati al presidente Fosson (che, nel mentre, ha esercitato le funzioni prefettizie per il procedimento di accesso antimafia, con il “doppio ruolo” previsto dallo Statuto attaccato da più parti), agli assessori Luca Bianchi e Laurent Viérin, nonché al consigliere Stefano Borrello.

I primi tre si dimettono anzitutto dagli incarichi in Giunta, ma non lasciano il seggio da consiglieri. Tempo un week-end e sottoscrivono anche l’abbandono delll’Assemblea regionale. Lo stesso fa Borrello, scegliendo tuttavia di presentarsi in aula il 16 dicembre 2019 per motivare il suo gesto.

Si apre così una crisi che, vista la mancata formazione di una nuova Giunta nei 90 giorni successivi, sfocia in elezioni anticipate. Vengono fissate per il 19 aprile 2020, ma l’epidemia da Covid-19 le fa slittare al 10 maggio. Anche quella data però, per l’aggravarsi del contagio, salta. Intanto, il Consiglio e la Giunta (presieduta dal vice di Fosson, Renzo Testolin, anch’egli citato nelle carte dell’inchiesta) sono in “ordinaria amministrazione”.

Nel marzo 2021, vengono notificati gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari. Li ricevono gli ex presidenti della Regione Fosson, Testolin e Viérin, assieme al già assessore Bianchi e ai condannati nel processo “Geenna” Roberto Alex Di Donato, Alessandro Giachino e Antonio Raso. L’accusa per tutti è di scambio elettorale politico-mafioso. L’informazione di garanzia ricostruisce come la “locale” di Aosta si sarebbe mossa per piazzare i suoi “cavalli” in Consiglio regionale, sostenendo la tesi di tre diversi “scambi di promesse” tra i malavitosi e i politici indagati.

Diciotto mesi dopo la chiusura dell’inchiesta, il Gip del Tribunale di Torino accoglie la richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo piemontese di archiviare integralmente il fascicolo. Il relativo decreto viene emesso il 30 settembre 2022. Vengono così meno le contestazioni formulate agli otto indagati – cinque politici e i tre condannati nell’appello del processo “Geenna” per appartenenza alla ‘ndrangheta – che avevano ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Pene severe nella sentenza a Torino

Allessandra Danieli Gup
Alessandra Danieli – Gup

Nel mentre, si susseguono le udienze del ramo processuale torinese. I pm Longi e Castellani chiedono pene severe: 20 anni di carcere per Nirta, 14 anni per Marco Fabrizio Di Donato, 10 anni per suo fratello Roberto Alex e 10 anni e 8 mesi per Francesco Mammoliti.

In seguito, alcuni degli imputati rompono il silenzio tenuto dal momento dell’arresto, con dichiarazioni spontanee, respingendo le accuse. Lo fanno, tra l’altro, Marco Fabrizio Di Donato, Nirta e Raso. La sospensione dell’attività giudiziaria per la pandemia da Coronavirus ferma in marzo il procedimento, che viene poi riprogrammato per il 4 giugno. Alla ripresa, vengono stabilite le udienze necessarie ad arrivare a sentenza, attesa per il 19 luglio 2020.

Il verdetto di primo grado, per i presunti partecipi” della “locale” di Aosta è di colpevolezza. A Bruno Nirta vengono inflitti 12 anni e 8 mesi, 9 a Marco Fabrizio Di Donato, 5 anni e 4 mesi al fratello Roberto Alex Di Donato e 5 anni e 4 mesi a Francesco Mammoliti. La sentenza è stata letta attorno alle 15. Stabilite anche delle provvisionali a favore delle quattro parti civili costituite.

Il Gup Danieli ha ritenuto colpevoli anche altri imputati, cui non veniva contestata l’appartenenza al crimine organizzato, ma chiamate a rispondere di reati emersi durante le indagini. “E’ la prima volta che viene riconosciuta a livello giudiziario la presenza della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta – ha detto il procuratore aggiunto Dionigi Tibone, dopo la lettura della sentenza – L’impianto accusatorio è stato sostanzialmente confermato”.

Nelle motivazioni alla sentenza, che emergono il 17 ottobre 2020, il giudice afferma provata l’esistenza della “locale” per l’aver riscontrato “l‘utilizzo del metodo intimidatorio, il controllo del territorio, la condizione di assoggettamento esterno, l’assistenza ad altri associati in stato di restrizione, la partecipazione – seppur rimasta incompiuta – a riti di affiliazione, l’infiltrazione nel mondo politico, con condotte integranti pure” autonomi profili di scambio elettorale politico-mafioso, nonché “i collegamenti con il ‘locale’ di riferimento in Calabria”.

Ad Aosta tutti condannati in primo grado

Sentenza Geenna Frame
Il momento della lettura della sentenza

Programmato per l’11 marzo 2020, anche il processo al Tribunale di Aosta per gli imputati che non hanno scelto riti alternativi va incontro ad un rinvio a causa del dilagare del Covid-19. Prende il via mercoledì 3 giugno, a porte chiuse ed in un’aula trasformata con interventi di prevenzione del contagio. Indipendentemente dall’esito, è destinato a restare nella storia della Valle.

Nelle prime udienze, i Carabinieri che hanno indagato testimoniano sulle investigazioni del passato in fatto di crimine organizzato e sull’inchiesta attuale, sull’“interlocuzione” tra la politica e la “locale”, nonché sul traffico di stupefacenti ricondotto a Bruno Nirta.

Dopo che il Tribunale rigetta un’eccezione difensiva riguardante le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, inizia il 10 giugno la sfilata dei testimoni citati dal pm Castellani perché protagonisti degli episodi finiti nell’inchiesta. Qualche “non ricordo” di troppo spinge il rappresentante dell’accusa a diverse contestazioni.

L’11 giugno, l’udienza è dedicata ai fatti rilevati nei comuni di Saint-Pierre e di Aosta, con le deposizioni, tra l’altro, dei sindaci ancora in carica (Fulvio Centoz) ed ex (Paolo Lavy). Il 14 giugno terminano le audizioni dei testi d’accusa (depone anche il parroco di San Giorgio Morgeto, Don Antonio Sorrentino) e il pomeriggio viene dedicato a sentire politici e dirigenti sugli anni di Marco Sorbara da assessore al Comune di Aosta.

Il 24 giugno sfilano i testimoni citati dalla difesa di Nicola Prettico. Si parla di viaggi in Calabria, di Massoneria e di politica. A deporre sono, tra gli altri, l’ex sindaco di San Giorgio Morgeto Vincenzo Marrapodi e due “big” di piazza Deffeyes, come Bruno Milanesio e Augusto Rollandin. Il secondo, in una deposizione “lampo” da una dozzina di minuti, nega i contatti con gli imputati.

Saint-Pierre e la sua amministrazione comunale tornano al centro del dibattimento il giorno successivo. Emerge che le due liste in corsa per il Municipio, nel 2015, erano entrambe interessate a candidare Monica Carcea e che, una volta entrata in Giunta, la donna veniva presa in giro per le sue origini calabresi.

Il Comune di Aosta, nel 2011, ha affidato due lavori, per un totale di quasi 8mila euro, all’artigiano Roberto Raffa (poi condannato per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso). Lo “rivela” il pm Castellani, durante la deposizione dell’ex segretario generale dell’ente, Stefano Franco, nell’udienza del 1° luglio. Le assegnazioni, rilevate dalla Commissione d’accesso, non erano note.

In aula, lo stesso giorno, anche il già sindaco Bruno Giordano e l’assessore regionale Mauro Baccega, che tornano sul trasporto di mobili in Calabria contestato a Sorbara, oltre all’ex assessore regionale Aurelio Marguerettaz, sentito sulla cena di Sant’Orso 2012, in cui i Carabinieri annotarono la presenza di vari politici valdostani e calabresi.

L’esame dei testimoni difensivi giunge al culmine il 2 luglio. Ad essere sentita è anche Maria Elia, moglie di Antonio Raso. Secondo lei, il ristoratore, dinanzi alle richieste di sostegno dei politici candidati che frequentavano il ristorante di famiglia in prossimità delle elezioni, “diceva a tutti ‘sì’”, perché “doveva lavorare, mantenere i rapporti con tutti” ed “era un bravo venditore”.

L’11 luglio, il processo si sposta nell’aula bunker del carcere delle Vallette, a Torino. Là, in videoconferenza, vengono sentiti tre collaboratori di giustizia, che hanno confermato il radicamento criminale calabrese nella regione. L’udienza si è poi chiusa con la testimonianza di Marco Fabrizio Di Donato, che ha smentito, tra l’altro, di avere mai incontrato l’allora presidente della Regione Rollandin.

Di nuovo al Tribunale di Aosta, tra il 23 e il 25 luglio vengono interrogati i cinque imputati. Per Tonino Raso, “la ‘ndrangheta è la cosa più schifosa”, mentre Monica Carcea si definisce “ingenua e inopportuna” nelle sue condotte da assessore, ma non oltre. Nicola Prettico spiega che quelle sentite da Di Donato, nelle intercettazioni, sarebbero “spesso millanterie”, Giachino sottolinea di essere amico di alcuni politici, ma di aver “mai fatto campagna elettorale”, mentre Marco Sorbara smentisce di aver contato sul sostegno della ‘ndrangheta, perché era odiato “da una parte dei calabresi”. L’incombere di agosto porta la sospensione feriale, il processo è destinato a riprendere il 9 settembre.

All’udienza successiva, l’accusa (con la presenza anche del procuratore capo di Torino Anna Maria Loreto), avanza le richieste di pena: 16 anni di carcere per Raso, 12 per Prettico, 10 per Giachino, mentre per i presunti concorrenti esterni Sorbara e Carcea l’invocazione ai giudici è di 10 anni di reclusione ognuno.

Seguono, tra il 10 e l’11 settembre, le arringhe. Secondo i legali di Sorbara, “l’istruttoria è un’insalata russa” e l’imputato “non sapeva della presenza della ‘locale’”. Per il team difensivo di Raso, l’obiettivo è dimostrare che non vi era “nessuna forza intimidatrice”, mentre per quello di Prettico “la Procura di Torino non ha il polso” della Valle. Infine, i difensori di Giachino e Carcea puntano invece sul fatto che “’La Rotonda’ non è la pizzeria di Duisburg”.

L’assenza di repliche da parte della Dda anticipa di un giorno il verdetto, che arriva così nel pomeriggio del 16 settembre 2020. Si tratta di cinque condanne, con il Collegio che infligge 13 anni a Raso, 11 ognuno a Prettico e Giachino e 10 ciascuno a Sorbara e Carcea. Disposti anche vari risarcimenti alle parti civili. Gli unici legali a commentare il verdetto sono quelli di Sorbara, che parlano di “sentenza ingiustificata, è in pericolo la democrazia”.

Le motivazioni del verdetto vengono depositate l’11 dicembre 2020 e contengono valutazioni pesanti rispetto all’attività di condizionamento politico esercitata dal sodalizio, tanto che – per i giudici – “almeno quattro candidati” alle regionali del 2018 “hanno conseguito l’elezione a consigliere regionale con il contributo della ‘ndrangheta”.

Per tre politici (gli ex presidenti della Regione Laurent Viérin e Renzo Testolin e il già assessore Luca Bianchi) i giudici decidono anche di trasmettere gli atti processuali alla Dda di Torino, al fine di valutare la sussistenza, a loro carico, del reato di concorso esterno nel sodalizio. Denunciati anche, per testimonianza reticente o mendace, alcuni dei testimoni sfilati a processo.

Al via l’appello

Un’udienza dell’appello Geenna a Torino.

I ricorsi alle sentenze di primo grado degli imputati (contro le pene inflitte) e della Dda di Torino (sull’assoluzione di Raso da un episodio di scambio elettorale politico-mafioso e sulla concessione delle attenuanti generiche ad alcuni condannati) vengono assegnati a due diverse sezioni della Corte d’Appello di Torino: la prima per le undici persone a giudizio con il rito abbreviato (processate inizialmente dal Gup Alessandra Danieli) e la seconda per le cinque processate con a dibattimento ordinario al Tribunale di Aosta.

Per i primi, il processo di secondo grado inizia il 18 maggio 2021. All’udienza della settimana successiva la sostituta pg Elena Dalosio chiede la conferma delle condanne di primo grado, dopodiché si susseguono le arringhe difensive e le dichiarazioni spontanee di alcuni imputati che negano l’appartenenza alla ‘ndrangheta. La fine della discussione tra le parti, con il rinvio per la sentenza, è del 1° luglio.

L’appello in dibattimento ordinario prende il via il 3 maggio 2020. Il sostituto pg Giancarlo Avenati Bassi invoca 13 anni e 6 mesi per Raso (unica richiesta di aumento pena, essendo il ricorso della Procura su un’assoluzione) e la conferma delle pene inflitte dai giudici aostani per gli altri quattro imputati. La discussione dei diversi difensori richiede due udienze in giugno.

Le sentenze: resta la “locale”, Marco Sorbara assolto

Processo Geenna
I fratelli Sorbara

Lo slittamento della data di un’udienza dell’abbreviato porta le due sentenze ad essere attese nello stesso giorno, lunedì 19 luglio 2021. Attorno alle 13, arriva il verdetto per gli imputati in abbreviato, che conferma sostanzialmente il primo grado.

Relativamente agli accusati di associazione a delinquere di tipo mafioso, giudici infliggono 12 anni 7 mesi e 20 giorni di carcere a  Bruno Nirta (l’unico dei quattro a fruire di un leggero “sconto” sul giudizio precedente), 9 anni a Marco Fabrizio Di Donato, 5 anni e 4 mesi a suo fratello Roberto Alex Di Donato e 5 anni e 4 mesi a Francesco Mammoliti.

La sentenza per l’ordinario arriva dopo le 19: l’ex consigliere regionale Marco Sorbara, con un rovesciamento della condanna a 10 anni in primo grado, viene assolto “perché il fatto non sussiste” dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il ristoratore Raso vede l’assoluzione da due episodi di ipotizzato scambio elettorale politico mafioso e la sua pena, relativamente alla partecipazione alla “locale”, scende da 13 a 10 anni di carcere.

Vengono rideterminate, per effetto della concessione delle attenuanti generiche, le pene per tutti gli altri: i dipendenti del Casinò Prettico e Giachino passano da 11 a 8 anni di reclusione ciascuno, mentre Carcea (altra imputata di concorso esterno) ha una diminuzione da 10 a 7 anni di reclusione. In entrambi i riti vengono stabilite provvisionali immediatamente esecutive per il risarcimento danni (da definire complessivamente in sede civile) alle quattro parti civili costituite nel processo: la Regione Valle d’Aosta, i comuni di Aosta e Saint-Pierre e l’associazione Libera Valle d’Aosta.

Dalla Cassazione esiti divergenti: Sorbara esce di scena

Il primo dei due rami processuali di Geenna, quello che riguarda i cinque imputati del dibattimento ordinario, approda alla Corte di Cassazione il 24 gennaio 2023. Dopo un’udienza durata circa tre ore, i giudici dichiarano l’innammissibilità del ricorso della Procura generale di Torino e rendono così definitiva l’assoluzione dell’ex consigliere regionale Marco Sorbara.

Per gli altri quattro – cioè Antonio Raso, Alessandro Giachino, Nicola Prettico a processo per associazione di tipo mafioso) e Monica Carcea (chiamata a rispondere di concorso esterno) – la Suprema Corte decide l’annullamento delle condanne comminate loro in secondo grado e il rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello di Torino, per un nuovo giudizio.

All’indomani di quest’esito, i difensori di Giachino e Prettico, vista anche la scadenza del termine di custodia cautelare disposto dall’ordine di carcerazione della Corte d’Appello di Torino, presentano istanza di revoca della misura a carico dei loro assistiti. L’esito è negativo: i giudici torinesi non concedono la scarcerazione dei due, in cella dal “blitz” del 23 gennaio 2019. Alla decisione, il difensore di Nicola Prettico annuncia l’appello al Tribunale della Libertà.

Una nuova istanza difensiva, per tutti e quattro i ristretti, viene proposta a fine marzo 2023. L’esito, in questo caso, è positivo. Le misure cautelari a carico di Raso, Prettico e Giachino (in detenzione carceraria) e Carcea (ai domiciliari, dopo essere rimasta in cella fino al 12 giugno 2019) vengono revocate.

I giudici della Corte d’Appello di Torino, richiamando “l’esito del giudizio di legittimità” e il “tempo trascorso dai prevenuti in custodia cautelare”, stabiliscono la scarcerazione. Soddisfazione è espressa dai loro legali, in attesa del “Geenna bis” cui i quattro dovranno andare incontro. Il 13 aprile 2023, inoltre, la Suprema Corte annulla il decreto di confisca di beni, per circa un milione di euro, operata nel 2021 a Raso: la questione torna in appello.

L’altro ramo processuale, riguardante gli imputati a giudizio con il rito abbreviato, approda in Cassazione il 20 aprile 2023. La seconda sezione penale conferma gran parte della sentenza d’appello. In particolare, rende definitive le quattro condanne per associazione a delinquere, così certificando l’esistenza di una “locale” di ‘ndrangheta ad Aosta. Per uno dei presunti partecipi, Marco Fabrizio Di Donato, i giudici annullano, con rinvio in appello, i capi d’imputazione sul voto di scambio politico-mafioso e l’estorsione. Lo stesso accade per un imputato di concorso in tentata estorsione, Salvatore Filice, che dovrà affrontare un nuovo giudizio, limitatamente a quell’accusa.

L’intervista a Marco Sorbara

L’appello “bis” in abbreviato

Il giudizio “bis” di appello, per Marco Fabrizio Di Donato (relativamente alle accuse di voto di scambio politico-mafioso ed estorsione) e Salvatore Filice (chiamato a rispondere di estorsione aggravata tentata) si apre l’8 febbraio 2024, a Torino.

La Procura generale chiede una condanna di 6 anni e 8 mesi per Di Donato (invocando la sua assoluzione per l’addebito di voto di scambio politico-mafioso e la derubricazione a tentativo dell’accusa di estorsione), nonché la conferma della condanna a 2 anni e 4 mesi per Filice.

Palazzo di giustizia Torino
Il Palazzo di giustizia di Torino.

I difensori, all’udienza del 3 aprile, ribadiscono l’estraneità dei loro assistiti alle imputazioni e la Corte si pronuncia. Di Donato viene assolto da entrambe le accuse e la pena a suo carico (per la condanna definitiva ad associazione di tipo mafioso) viene rideterminata in 6 anni di reclusione. A Filice, invece, vengono confermati 2 anni e 4 mesi di carcerazione.

Nelle motivazioni della sentenza si legge che, per quanto riguarda Di Donato, non si evincono gli elementi dell’estorsione e a favore del voto di scambio non depone più che una sola conversazione. Per Filice, invece, i giudici ritengono pacifici i fatti (l’episodio è quello seguito alla “scazzottata” tra il figlio dell’imputato e un nipote di Antonio Raso).

In Cassazione salta la condanna di Filice

I rispettivi difensori propongono nuovamente appello in Cassazione, che fissa l’udienza il 17 settembre 2024. L’esito rovescia in parte le conclusioni della Corte d’Appello. Nei confronti di Salvatore Filice, la suprema corte riqualifica la tentata estorsione in esercizio arbitrario delle proprie ragioni e il reato viene dichiarato estinto per prescrizione.

Inammissibile, invece, è dichiarato il ricorso proposto dal difensore di Marco Fabrizio Di Donato, che quindi vede diventare definitiva la condanna a 6 anni di reclusione. Per lui si riaprono le porte del carcere, al fine di scontare il residuo di pena, calcolato il pre-sofferto da lui trascorso in carcere.

La Corte di Cassazione.

L’appello “bis” in ordinario

Il procedimento “bis” alla Corte d’Appello di Torino per i quattro imputati del rito ordinario inizia il 15 novembre 2023. Dopo l’udienza dedicata alla relazione introduttiva, il 31 gennaio 2024 l’accusa si esprime, chiedendo 10 anni di carcere per Raso, 8 anni a testa per Giachino e Prettico, nonché 7 anni per Carcea.

I sostituti pg Giancarlo Avenati Bassi e Valerio Longi puntano sulla rilevanza delle intercettazioni telefoniche e sul fatto che l’accertamento dell’esistenza di una “locale”, nel rito abbreviato del processo “Geenna”, è divenuto definitivo, cosa che deve contribuire a cristallizzare i fatti addebitati agli imputati.

Geenna Appello
Un’udienza dell’appello “bis”.

Le difese, nelle udienze successive (10 aprile e 14 maggio 2024), partono dai rilievi mossi dalla Cassazione, sostenendo la forza dell’osservazione per cui alcune condotte contestate siano state ritenute non “dimostrative della forza intimidatrice” della presunta associazione mafiosa. Le repliche dell’accusa iniziano il 20 giugno e le controrepliche difensive si chiudono il 30 settembre 2024, giorno in cui i giudici leggono la sentenza.

La “locale” senza concorrenti esterni

Monica Carcea viene assolta dall’accusa di concorso esterno “perché il fatto non sussiste”, mentre per Raso, Prettico e Giachino i giudici affermano la colpevolezza per l’associazione di tipo mafioso. Il primo viene condannato a 8 anni, gli altri due a 6 anni e 8 mesi ognuno.

Quanto alle somme dovute alle parti civili, i giudici stabiliscono che, a titolo di provvisionale, i tre imputati condannati dovranno versare 30mila euro alla Regione Valle d’Aosta, 20mila al Comune di Aosta e 5mila sia al Comune di Saint-Pierre, sia all’associazione Libera.

Il termine per il deposito delle motivazioni, attese dai difensori dei condannati per valutare il nuovo ricorso in Cassazione (cammino che potrebbe percorrere anche la Procura generale rispetto all’assoluzione di Carcea), è fissato in 90 giorni.

La confisca di beni ad Antonio Raso

Parallelamente al percorso processuale, il ristoratore Antonio Raso nel 2019 viene sottoposto, dal Tribunale di Torino, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. In quella circostanza, gli vengono sequestrati in via preventiva beni per circa un milione di euro (le quote di sua titolarità della pizzeria “La Rotonda” di Aosta, un alloggio e un’autorimessa, due autoveicoli e due conti correnti). Nell’aprile di due anni dopo, il sequestro diviene confisca.

Raso impugna il decreto e, il 20 gennaio 2022, la Corte d’appello di Torino conferma il provvedimento. Il nuovo ricorso, dinanzi alla Corte di Cassazione, vede un esito favorevole al ristoratore. All’udienza del 13 aprile 2023 il decreto, nella parte relativa ai beni, viene annullato e rinviato a Torino per un nuovo giudizio sul punto. Le motivazioni della Suprema Corte sottolineano l’assenza di verifiche sulla “imprescindibile correlazione cronologica” tra l’acquisizione dei beni e l’accertamento della pericolosità sociale di Raso, fatta risalire al 2009.

Antonio Raso durante l’esame in aula.

La discussione dell’appello “bis” si chiude il 15 maro 2024 alla Corte d’Appello di Torino. Viene effettuata anche una consulenza tecnica per cui la sproporzione reddituale si attestava su 140mila euro nei dodici anni presi in esame (dal 2009 al 2019), rispetto ai 900mila per cui era scattato il provvedimento della Direzione Investigativa Antimafia.

I giudici, nel pronunciarsi, dispongono quindi il dissequestro, con restituzione a Raso, delle quote di titolarità della pizzeria “La Rotonda” ad Aosta, nonché una quota parte di un alloggio. Una perizia di parte, depositata dai legali del ristoratore, invece non individuava alcuna sproporzione reddituale.

Aostasera sul campo al Tribunale di Aosta

Christian Diémoz in collegamento dal tribunale di Aosta
Christian Diémoz in collegamento dal tribunale di Aosta

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